Il decreto legislativo 59/2017 riscrive il percorso di reclutamento dei futuri docenti, sostituendo le norme precedenti, che risalgono al ministro Gelmini e che, di fatto, non erano state mai applicate. I due concorsi banditi da allora, uno nel 2012 e l’altro nel 2016, sono stati infatti attuati “in deroga” rispetto al percorso legislativamente previsto.



Cosa dice, in sostanza, il D.lgs. 59? Per accedere alla docenza, servirà — oltre alla laurea magistrale — l’aver acquisito durante il percorso accademico almeno 24 Cfu/Cfa nell’ambito delle “discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche”. Con questi titoli, si potrà partecipare ad un concorso regionale, articolato in due prove scritte ed una orale, tutte eliminatorie. Il concorso sarà bandito ogni due anni, sulla base della previsione dei posti da coprire nel terzo e quarto anno successivi al bando.



I vincitori saranno suddivisi in due scaglioni, secondo l’ordine di graduatoria, ed inizieranno, dal successivo 1° settembre (un anno dopo, per il secondo scaglione), un percorso triennale, denominato Fit (Formazione iniziale e tirocinio), previa sottoscrizione di un apposito contratto, con diritto a retribuzione per le attività formative. Per i primi due anni tale retribuzione sarà stabilita dalla contrattazione, per il terzo sarà quella prevista per i supplenti annuali.

Il primo anno è destinato al conseguimento del titolo di specializzazione, di fatto l’abilitazione, attraverso un esame finale, il cui superamento è condizione per proseguire il percorso. Il secondo anno è dedicato alla prosecuzione della formazione, intervallata da esperienze di supplenze brevi e si conclude con una valutazione intermedia, che è a sua volta condizione per accedere al terzo anno. Il terzo anno si svolge presso una scuola scelta dall’aspirante, secondo l’ordine di graduatoria, ed è a tutti gli effetti una supplenza annuale con valenza di anno di prova ed accompagnata da una serie di attività formative, fra cui un progetto di ricerca-azione che abbraccia secondo e terzo anno.



Al termine, una commissione presieduta dal dirigente della scuola presso cui è stato prestato il servizio effettua la valutazione finale. Se l’esito è positivo, il candidato viene assunto in ruolo presso l’ambito territoriale in cui si trova la scuola stessa e, a partire dall’anno successivo, può essere chiamato con incarico triennale presso qualunque sede compresa nell’ambito.

Questo, a grandi linee, il percorso. E’ presto per esprimere valutazioni di merito, visto che troppi aspetti operativi sono affidati a futuri decreti ministeriali. Ma almeno due cose si possono dire da subito:

1. Il nuovo percorso è ancora troppo lungo e complesso: cinque anni (minimo) per la laurea magistrale, più il tempo di attesa fino al primo bando utile (anche fino a due anni), più la durata del concorso (non meno di un anno, vista che ogni prova è eliminatoria rispetto alla successiva), più un triennio per il Fit (che può allungarsi ancora di un anno, se si entra con il secondo scaglione). Da dieci a dodici anni, secondo le varie combinazioni possibili: ed anche di più in caso di contenzioso. Il tutto per accedere ad un posto retribuito con 1.200-1.300 euro mensili, o poco più con il futuro contratto;

2. Prima che si apra effettivamente questa via di accesso, devono essere esaurite le code dei precedenti concorsi (quello Profumo e quello Giannini: per questo secondo, compresi tutti gli idonei) e devono essere espletati due concorsi riservati, uno per gli aspiranti già abilitati ed uno per i non abilitati che abbiano svolto un servizio equivalente a tre anni scolastici negli ultimi otto. Addirittura, il primo dei due a vincita garantita (“La graduatoria di merito regionale comprende tutti coloro che propongono istanza di partecipazione”). Quanti anni saranno necessari?

Sembra riproporsi una vecchia e non edificante abitudine: percorsi prioritari e super-agevolati per chi in un modo o nell’altro “sta già dentro”; percorsi futuri, lunghi e tortuosi, per chi deve ancora entrare. Di questo passo, il rinnovamento della professione docente può attendere ancora dieci anni. E, nel frattempo, potrà intervenire l’ennesima riforma che, cambiando ancora le regole, penserà a “sistemare” chi ha maturato aspettative di qualche genere. Insomma, un film già visto molte volte e che ha condotto la professione docente e la scuola nell’attuale condizione. Per una legge che voleva essere di svolta, un esito decisamente modesto.