Caro direttone,

Vorrei fare alcune considerazioni sull’ormai nota lettera che 600 docenti universitari hanno inviato al Governo e al Parlamento in cui chiedono interventi urgenti per insegnare agli studenti a scrivere correttamente in lingua italiana. 

A suggerire l’iniziativa è stata la constatazione di un analfabetismo di ritorno che colpisce oggi gran parte del mondo studentesco: i docenti universitari fanno presente con grande preoccupazione che gli studenti non sanno scrivere in italiano, che commettono gravi errori ortografici e che spesso non sanno connettere le diverse frasi. È una lettera che esprime grande preoccupazione, ma nello stesso tempo è un atto di accusa a tutta la scuola italiana, ritenuta responsabile di non insegnare a scrivere come si deve. 



I docenti universitari hanno ragione: la situazione è grave, non è accettabile che uno studente in procinto di laurearsi presenti una tesi con errori ortografici e scorretta dal punto di vista sintattico. 

Se si deve riconoscere ai 600 docenti universitari di aver sollevato una questione reale e urgente, però la soluzione non è certo quella che loro chiedono, ossia l’istituzione degli ennesimi corsi di aggiornamento che, ormai è ampiamente dimostrato, non portano a nulla. 



Bisogna invece avere il coraggio di mettere in discussione la didattica quotidiana: qui sta la questione seria dell’insegnamento della lingua italiana. Se non si aprirà un dibattito a trecentosessanta gradi su come oggi si insegna a scrivere in lingua italiana non si arriverà a nessun risultato significativo, se non ci si deciderà una volta per tutte a valutare come ogni insegnante introduce all’uso della lingua ciò che i docenti universitari hanno denunciato non verrà neanche sfiorato. 

Se i docenti universitari lo vogliono, noi insegnanti della scuola siamo disponibili, non a fare dei corsi di aggiornamento, ma a dialogare su che cosa significhi oggi insegnare a scrivere in lingua italiana. 



In questa direzione un suggerimento io lo darei derivandolo dalla mia esperienza. 

Vorrei far notare ai 600 docenti universitari che la loro denuncia è vera solo in parte. Infatti quando gli studenti devono fare saggi brevi o devono scrivere rispondendo a domande astratte fanno fatica a comporre un testo, non trovano le parole e commettono errori ortografici e sintattici. 

Ma vi è un’altra faccia della medaglia che bisogna guardare. Quando agli studenti si chiede di parlare di se stessi o di raccontare esperienze che hanno vissuto, il testo che elaborano è ricco di termini, scorre in modo coerente ed è corretto a livello ortografico. Questo è ciò che accade nella scuola: gli studenti sanno “improvvisamente” scrivere quando viene loro chiesto di parlare della vita, di raccontare ciò di cui fanno esperienza. 

Questo dovrebbe insegnare il metodo per combattere l’analfabetismo, un metodo che si deve usare dall’inizio del percorso scolastico e che ha una regola molto semplice, ossia quella della realtà.

È la realtà, sono le esperienze che insegnano a scrivere. E per capire questa regola basta vedere cosa succede dentro la vita quotidiana della scuola: se un ragazzo ha un’esperienza da raccontare, se ci tiene a farlo, andrà a cercare le parole per comunicarla al meglio. Se invece non vi è nulla o quasi da raccontare, lo stesso ragazzo si arrampica sui vetri e fatica a trovare le parole per esprimersi.

C’e’ un’unica cosa da fare oggi nella scuola: nessun corso di aggiornamento, ma insegnare in modo nuovo a scrivere in lingua italiana. Ci vuole più realtà dentro la scuola, ci vogliono più esperienze e si deve chiedere ai giovani di raccontarle, così impareranno a scrivere e correttamente. 

Facciamo scrivere ai giovani di loro stessi, facciamo loro raccontare esperienze, non più le elucubrazioni mentali che impoveriscono e inaridiscono il linguaggio; se prenderemo questa strada i giovani torneranno a scrivere bene, e questa certezza viene dalla constatazione che lo fanno già tutte le volte che un insegnante chiede loro cose viste e vissute — e non astrazioni. 

Per tutto questo dopo la denuncia di questo ritorno all’analfabetismo c’è da rimboccarsi le maniche capendo che è la realtà ad insegnare a scrivere: regola tanto semplice quanto disattesa, ma da lì, dal far parlare della vita, dal far parlare di ciò che hanno visto e vedono, bisogna riprendere in mano la nostra amata lingua.