Sono passati più di 12 anni dalla pubblicazione del libro di Giorgio Vittadini “Capitale Umano. La ricchezza dell’Europa”. Onorato Grassi nel capitolo introduttivo esordiva: “negli ultimi anni si è assistito ad un reciproco avvicinamento tra il mondo dell’economia e quello dell’educazione” ed osservava la stretta relazione esistente tra istruzione ed economia a partire dalle dottrine di Adam Smith e di Carlo Cattaneo, ricordando del primo l’idea che “una piena padronanza della lingua è un elemento indispensabile alla vita intera di una società moderna” e del secondo “l’importanza delle idee e di una elevata cultura ai fini dello sviluppo della società e delle forme produttive”. Alcuni contributi facevano il punto sulla relazione tra successo lavorativo e tipologia di conoscenze e competenze (generiche e specialistiche) ed in particolare Viviane Reading affermava di “avere assistito all’attenuarsi dell’opposizione artificiosa tra formazione generale e formazione professionale”.
Tutto ciò contribuiva a focalizzare l’attenzione sugli anni di istruzione e sui livelli di conoscenza come principali elementi costitutivi e base per la misura del capitale umano, anche se già allora Vittadini osservava che “…per descrivere gli effetti dell’investimento in capitale umano… basta considerare l’incremento di reddito e ricchezza nel ciclo vitale? …Esiste un aspetto immateriale e non misurabile del capitale umano, per quanto assolutamente reale”.
Il ruolo della scuola in questo ambito, anche se tutto da misurare, era ed è del tutto ovvio: le conoscenze si acquisiscono prevalentemente a scuola! In quegli anni si sviluppò il dibattito sul problema della misurazione delle conoscenze e competenze, i risultati delle indagini internazionali Ocse e Timss appassionavano gli addetti ai lavori ed il pubblico più in generale, e l’Invalsi estendeva questo tipo di indagini all’intero panorama delle scuole italiane. La disuguaglianza nei livelli di apprendimenti tra paesi e aree geografiche del paese e la relazione tra condizioni socio-economiche della famiglia e risultati scolastici catturavano l’attenzione degli studiosi. Assieme alla questione di come fosse possibile misurare l’efficacia delle scuole e delle classi nel raggiungimento degli obbiettivi di conoscenza e competenza disciplinare (matematica e lingua). Tutto ciò era il frutto dell’attenzione e del lavoro degli economisti su misure e dati relativi ai livelli di apprendimento attraverso test di natura psicometrica (modelli Irt, modello di Rasch).
Parallelamente nei primi anni 2000, gli psicologi e psicometrici iniziarono a utilizzare misure relative a tratti latenti di personalità, su cui lavoravano da molti anni, per studiare la relazione con aspetti economici della vita delle persone. In particolare il lavoro di Timothy et al. (The Big Five personality traits, General mental ability and career success across the life span, “Personnel Psychology”, Volume 52, Issue 3, September 1999, pp. 621-652), studia la relazione dei tratti del modello a 5-fattori Big-Five con il successo nella carriera, trovando che la “coscienziosità” è positivamente correlata con la soddisfazione nel lavoro e con il reddito, mentre la stabilità emotiva è positivamente correlata con la soddisfazione nel lavoro.
Altri lavori evidenziarono che la coscienziosità aveva un effetto positivo anche sui livelli di apprendimento. In quello stesso periodo Heckman iniziò a teorizzare che il capitale umano non si componeva solo di “cognitive skills” ma anche di “non cognitive skills”.
Il nuovo libro Far crescere la persona. La scuola di fronte al mondo che cambia (Fondazione per la Sussidiarietà, 2016) curato da G. Vittadini costituisce una pietra miliare nel riconoscimento della complessità della questione relativa al capitale umano e apre il dibattito su questioni cruciali come:
A) Quali sono le misure più adeguate dei tratti di personalità rilevanti per il problema?
B) Quanta parte di questi tratti è eredità genetica e quanta parte risulta modificabile dalla famiglia e dalla scuola?
C) La relazione tra condizioni socio-economiche della famiglia e livelli di apprendimento come si modifica, ed eventualmente perde di significatività, se si considerano i tratti di personalità?
D) Sarebbe opportuno affiancare le misure di apprendimento, che comunque continuano ad avere la loro fondamentale importanza, con delle misure dei tratti di personalità rilevanti?