Sono ormai noti e sono stati autorevolmente e ampiamente commentati i dati relativi alle iscrizioni al prossimo anno scolastico. Li riassumo per comodità del lettore: la scelta liceale continua a essere quella preferita (54,6%), stabili gli istituti tecnici (30,3%), in costante declino gli istituti professionali (15,1%). Se questi dati vengono confrontati con quelli degli anni precedenti emerge con maggiore evidenza un possibile andamento futuro dell’istruzione secondaria. Per il quarto anno i licei vengono complessivamente scelti da oltre il 50% dei ragazzi che entrano in prima superiore (nel 2010/2011 erano il 46,2%) con un aumento di oltre 8 punti percentuali. I tecnici erano al 31,7% (–1,4%) e i professionali erano al 22,1% (–7%). 



Se si scompongono i dati relativi alle diverse tipologie scolastiche spicca il primato del liceo scientifico che nelle sue varie ramificazioni raccoglie le preferenze di un quarto degli iscritti con il 25,1% (contro il 22,7% del 2010/2011) oggi così ripartito: 15,6% nell’indirizzo tradizionale; 7,8% per l’opzione delle scienze applicate e 1,6% nel curriculum sportivo. Crescono anche il liceo delle scienze umane (7,9% contro il 6,5% del 2010/2011) e quello linguistico (9,2% contro il 5,6%), mentre il liceo classico, nonostante il lieve incremento di quest’anno, non riesce ancora a colmare la caduta precedente (6,6% contro il 6,9%). Restano di nicchia i restanti comparti liceali.



Quale tendenza è possibile ricavare da questi dati? Propongo qualche breve osservazione, anche se è facile cadere in generalizzazioni superficiali (spero non sia questo il mio caso). Cresce la fiducia nella scuola liceale, ma è legittimo chiedersi a quali condizioni: perché percepita dalle famiglie come una scuola “seria” e che fornisce durevoli e solide basi culturali oppure soluzione che consente di prendere tempo e rinviare più avanti le decisioni forti? 

La progressiva licealizzazione dell’istruzione secondaria è favorita da una duplice percezione critica: l’idea che la cultura con la C maiuscola è prerogativa della licealità e la convinzione, talvolta approssimativa e un po’ generica, che oggi sia difficile associare gli studi e un lavoro coerente con il titolo scolastico. Nonostante ogni sforzo per la loro valorizzazione, non si arresta conseguentemente la caduta dei professionali sempre più — purtroppo e spesso ingiustamente — percepiti come la serie C della scuola italiana. Ai licei vanno gli alunni migliori come rendimento e con le famiglie economicamente più solide, il rovescio di quanto accade nei corsi professionali. In mezzo stanno gli istituti tecnici. Cose risapute, nessun cambiamento in un quadro singolarmente stabile dalla riforma Gentile di cent’anni fa.  



Qualche ulteriore riflessione merita il liceo scientifico. Questa tipologia scolastica presenta molti caratteri “rassicuranti”: corso liceale, ma non impegnativo come il classico e considerato socialmente più “nobile” rispetto ai corsi tecnico-professionali; piano di studi dalla natura abbastanza enciclopedica con un saggio mix di cultura umanistica e scientifica e nell’opzione delle scienze applicate con un adeguato rinforzo di informatica; scuola che non orienta in modo preciso verso le future scelte universitarie (come accade, ad esempio, anche se blandamente, per i licei delle scienze umane e linguistico e più significativamente per quelli artistico e musicale). 

Chi frequenta lo scientifico si garantisce una molteplicità di possibilità future, configurandosi quasi come il naturale prolungamento della scuola secondaria di primo grado, perfettamente coerente con l’indecisione — e spesso anche la scarsa conoscenza delle opportunità scolastiche — con cui ragazzi e famiglia si inoltrano nella prosecuzione degli studi. 

Forse è il caso di interrogarsi se la fortuna dei licei — e quella dello scientifico può essere ritenuta emblematica — non dipenda anche da una mediocre qualità dell’orientamento (azione che dovrebbe accompagnare la parte finale del ciclo primario), spesso ancora fermo all’idea fordista dell'”individuo giusto al posto giusto” oppure condizionato dalle professioni “di moda” (vedi la fortuna degli alberghieri) anziché puntare sul trasferimento di conoscenze di autorientamento finalizzate a scelte capaci di rispondere alla maggiore chiarezza possibile su se stessi

Si sa, i ragazzi oggi crescono lentamente e molta fragilità adolescenziale è collegata al prolungamento dell’universo infantile e all’insufficiente risposta alla domanda di senso dei ragazzi che parte dalla capacità e dall’autorevolezza (o meno) degli adulti di promuovere la loro “scoperta di sé”. Quando si proteggono esageratamente i figli maturano le condizioni per tenerli in un’area protetta e allontanare nel tempo le decisioni. La scelta liceale riflette in molti casi (ovviamente non sempre, per fortuna) il mondo grigio dell’incertezza nella quale vivono non solo tanti adolescenti, ma anche tanti genitori. 

Il risultato di tanta (e spesso anche confusa) indecisione è che gli studenti spesso galleggiano nelle scuole secondarie senza specifici interessi e senza grandi motivazioni.