Il dissidio tra cultura umanistica e scientifica può essere anche un dialogo su una visione antropologica diversa, inseribile nel paradigma della complessità che caratterizza la cosiddetta società liquida. Bisogna essere animati da grande curiosità come Odisseo e assetatati di conoscenza come l’Ulisse di Dante senza dimenticare la profonda analisi della psiche propria dell’Ulisse di Joyce. Per andare dove? Ne abbiamo parlato con Piero Martin, ordinario di fisica sperimentale nell’Università di Padova, autore, insieme ad Andrea Tagliapietra e Claudio Bertocci di Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla.
Professore, lei insegna fisica sperimentale nell’Università di Padova. Cosa ha significato per lei avere un’istruzione classica a distanza di tanti anni?
Il liceo classico è stato una tappa fondamentale della mia formazione e ancora oggi, trentacinque anni dopo la maturità, continuo a godere dei benefici di quell’esperienza di studi. L’università e poi il lavoro inevitabilmente richiedono una sempre maggiore specializzazione. Certo necessaria, ma che rischia di restringere gli orizzonti. Il liceo classico mi ha dato l’opportunità di studiare “a 360 gradi”, dal greco alla fisica, dalla filosofia alla chimica: toccare con mano la complessità, la diversità e la ricchezza della cultura. Forse l’insegnamento più importante di quegli anni è stato proprio l’educazione alla diversità. E i percorsi di noi tre autori del libro — Claudio Bartocci, Andrea Tagliapietra ed io — credo siano un esempio di quante strade quella scuola abbia aperto.
Molti ragazzi che non scelgono il liceo classico si iscrivono al liceo scientifico, ma non quello tradizionale, bensì quello con l’opzione scienze applicate ovvero senza il latino. Lei che è uno scienziato: a cosa può “servire” lo studio di una lingua morta come il latino?
Alla stessa cosa cui “serve” qualsiasi altra materia che si studia negli anni della formazione pre-universitaria: è un pezzo del tutto. Negli anni dell’adolescenza ci apriamo al mondo e dobbiamo iniziare a costruire gli strumenti con i quali cercheremo di capirlo, di viverlo, di migliorarlo. Per dirla con don Milani, “Ogni parola non imparata oggi è un calcio in culo domani”. Per costruire questi strumenti occorrono tanti componenti diversi. Così come per costruire una bicicletta occorrono le ruote, i pedali, i freni… Ecco, il latino ci aiuta a costruire la nostra conoscenza. E naturalmente ci lega alla nostra storia millenaria, ci aiuta a comprendere la nostra lingua, ad educare il ragionamento. Molto praticamente, mi ha poi aiutato ad imparare il tedesco, per esempio, il che mi è stato utile dato che per lavoro ho passato parecchio tempo in Germania.
Lei insegna una materia alla quale relativamente pochi ragazzi si avvicinano perché impauriti dalla difficoltà oppure per la scarsa preparazione scientifica avuta alle superiori. Qual è la sua esperienza in merito?
Sulla preparazione delle superiori è difficile fare un discorso generale, anche perché non ci lavoro direttamente. Credo ci siano situazioni variegate, ma ho comunque l’impressione che il livello medio di preparazione dei nostri studenti sia ancora buono, grazie allo sforzo di tante brave professoresse e professori. Certo, la scuola ha bisogno di molte più risorse ed attenzione e questo dovrebbe farci riflettere: se già con gli scarsi mezzi di cui dispone il nostro sistema scolastico continua a formare ottimi studenti, che potenzialità potrebbe avere il nostro Paese se dessimo alla scuola e all’istruzione l’importanza che merita? Quanto alla paura per le difficoltà della materia, sì, spesso c’è. Ma non penso sia oggettiva. Lo studio della fisica richiede certamente applicazione e passione, ma non più di quanto ne richieda qualsiasi altra materia studiata bene. Qui forse siamo noi fisici, matematici, chimici… che dovremmo fare di più per farlo capire. Usando un linguaggio adeguato per ogni circostanza la fisica si può non solo far capire ma rendere appassionante, perché descrive il mondo che ci circonda. Ecco il motivo per cui trovo che la divulgazione scientifica sia così importante.
Qual è secondo lei l’apporto dello studio delle discipline classiche per la formazione di un ragazzo che poi vuol diventare uno scienziato?
Studio, creatività, e aggiungerei anche curiosità, sono tutti fondamentali per fare della scienza un lavoro. Lo studio rigoroso, prima di tutto. Che sia studio sui libri o apprendistato da un maestro artigiano, imparare con umiltà è importante per qualsiasi mestiere. Curiosità e creatività possono fare poi di quel mestiere una passione, e farci avere soddisfazioni. Le discipline classiche possono aiutare molto a educare creatività e curiosità: pensiamo ad esempio alla storia della filosofia, che ci fa confrontare con tante visioni diverse del mondo, della vita, dell’essere umano nella sua completezza. Ma anche alla letteratura, che ci avvicina al piacere del raccontare, che poi è un’abilità importantissima per uno scienziato.
Lei è stato recentemente responsabile di una task force europea su esperimenti di fusione nucleare controllata, promossa dal Consorzio Eurofusion. Immagino che sia a contatto con un ambiente internazionale: qual è la sua opinione sulla preparazione del sistema scolastico italiano in generale rispetto a quella di altri paesi?
La fisica è una disciplina per sua natura internazionale. Dall’inizio della mia attività, e ancor di più in questi tre anni di esperienza europea, mi sono confrontato con colleghe e colleghi di tutto il mondo, e con moltissimi studenti e giovani ricercatori. L’esperienza mi dice che il nostro sistema scolastico e la nostra formazione universitaria nella materie scientifiche sono ancora di primissimo livello, e i nostri giovani competono ai più alti livelli. Mi scuso se faccio un esempio che mi riguarda, ma è perché lo conosco bene ed è comunque rappresentativo di tante altre positive storie italiane analoghe. Negli ultimi undici anni, per ben due volte studenti del nostro laboratorio di Padova hanno vinto il premio della Società europea di fisica (Eps) per la miglior tesi di dottorato in fisica dei plasmi, competendo con colleghi di tutta Europa. Le persone sono la risorsa più grande del nostro Paese, dovremmo tenerlo sempre in altissimo conto.
Perché ci sono tante fughe di cervelli dal nostro Paese?
Perché, dopo la formazione universitaria e dottorale, fatichiamo ad offrire opportunità di lavoro e a prospettare un percorso, una carriera. La ricerca pubblica e privata non è sufficientemente finanziata e considerata. Perché, oltre ai finanziamenti, serve anche la percezione che il lavoro di ricerca sia importante per la società, per il Paese. In molti altri Paesi europei, in Germania in primis — dove ho lavorato per Eurofusion — non solo chi termina un percorso di formazione scientifica ha la possibilità di competere per un lavoro di ricerca pagato dignitosamente, ma si sente anche inserito in un sistema sociale ed economico per il quale la ricerca è fondamentale. Chi si avvicina alla ricerca è pronto ad affrontare una strada competitiva e non facile, ma occorre che una strada esista e che sia visibile. Qualche segnale positivo c’è, ad esempio il mio ateneo di Padova ha lanciato un programma che ha già fatto rientrare dei ricercatori che lavorano all’estero, ma il nostro Paese nel suo complesso deve fare molto di più. E non solo per motivi ideali, ma anche per ragioni squisitamente economiche: la ricerca scientifica e la cultura producono ricchezza.
Nella società liquida e globale di oggi i giovani studenti sono vittime di “cacopedie”. Cosa sono secondo lei queste “cacopedie” nel campo dell’educazione scientifica e nell’istruzione scolastica nel nostro Paese?
In una recente intervista a David Helfand, astronomo della Columbia University, si parla di cattiva informazione e bufale, un tema oggi assai attuale. Helfand ricorda che durante la storia l’informazione è stata limitata, di difficile accesso e costosa. Basti pensare anche solo ai miei nonni. Oggi invece siamo in uno stato opposto: l’informazione è virtualmente illimitata, ma spesso assai poco affidabile. Ecco, credo che il nostro sistema d’istruzione (me compreso, naturalmente) dovrebbe a tutti i livelli educare al rigore e alla fatica dello studio, ad evitare le scorciatoie, a controllare i fatti e le fonti. In altri termini dovrebbe dare basi solide e instillare curiosità. Insegnare nozioni e metodo allo stesso tempo, senza scorciatoie o approssimazioni, tornare ai libri. Internet è un punto di arrivo, non di partenza.
Un esempio?
Al classico le ore di matematica e di fisica erano davvero poche. Ho avuto la fortuna di avere un professore che ha saputo usarle selezionando le nozioni da farci apprendere — senza pretendere di insegnare tutto, tanto non sarebbe stato possibile — e soprattutto insegnando un metodo di studio della materia. Perché quando ci sono le nozioni di base ed un metodo solido, il resto poi si impara anche più tardi.
Le lancio una sfida. Calvino ha scritto un racconto basato sul paradosso di Zenone intitolato “Ti con zero”. Che cos’è in parole semplici lo zero? Per esempio nella fisica che insegna?
Nel libro, Claudio Bartocci — il matematico —, Andrea Tagliapietra — il filosofo — ed io abbiamo cercato di affrontare il tema dello zero nelle nostre discipline. Tema ricchissimo di significati per la matematica, proprio col numero zero, per la filosofia, con il concetto di nulla, e per la fisica con il vuoto. Per molti anni la fisica ha descritto il vuoto come assenza di materia e tutt’ora gran parte delle applicazioni pratiche del vuoto hanno a che fare con questa condizione. Pensiamo ad esempio all’aspirapolvere, uno dei principali strumenti che hanno fatto del vuoto un’esperienza quotidiana e che funziona proprio perché al suo interno si crea una regione dove c’è meno materia (aria in questo caso) che al suo esterno. Ma, per una singolare coincidenza, proprio quando agli inizi del ‘900 si afferma commercialmente l’aspirapolvere, i fondamenti fisici del vuoto sono rivoluzionati dall’avvento della meccanica quantistica e il concetto stesso di vuoto assoluto viene messo in discussione. Ciò che per la fisica classica sembrava completamente vuoto in realtà non lo è se lo guardiamo su scale spaziali e temporali sufficientemente piccole, dove gli effetti quantistici diventano significativi. Ciò che rende il vuoto così attraente per tutti — fisici e non fisici — è proprio la sua onnipresenza nella vita pratica e allo stesso tempo le ancora attualissime sfide per la sua comprensione.
A distanza di anni, ricorda qualche lezione o un episodio particolare del suo professore di greco e latino?
Se mi permette, non vorrei far torto a nessuno dei professori che ho avuto al Liceo Foscarini di Venezia. Ho avuto la grande fortuna di avere degli ottimi docenti, dei quali ancor oggi conservo un eccellente ricordo e ai quali sono grato. Ciascuno con i suoi pregi e i suoi difetti, come ciascuno di noi, ma quei professori e i miei compagni di classe hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia vita.