A fine gennaio il Governo ha approvato ed avviato al Parlamento per la dovuta discussione otto deleghe della legge 107/2015, attese per renderla attuativa e per poter capire e valutare l’indirizzo politico che orienterà l’impostazione della nostra scuola nei prossimi anni e, inevitabilmente, il futuro dei nostri figli.
L’attesa era ancora più grande per poter esaminare le eventuali conseguenze legate ad una dichiarazione pubblica (precedente il referendum del 4 dicembre scorso) di Matteo Renzi a “Porta a Porta” in cui l’allora capo del governo affermò che quello della scuola era stato uno degli errori del suo Governo.
Occorre dire che le deleghe presentano qualche aspetto migliorativo per il settore della scuola paritaria, come quello relativo alla formazione iniziale, in cui prende corpo il principio di uniformità di percorso tra scuola statale e paritaria richiesto, ma non accolto, durante l’approvazione della legge 107 ossia: assunzione a tempo determinato per tre anni nei quali il nuovo assunto deve acquisire il diploma di specializzazione (non più l’abilitazione) per avere al termine l’eventuale assunzione in ruolo (nelle scuole statali) o a tempo indeterminato (nella scuola paritaria).
I problemi nascono e possono essere gravi quando si affronta la delega per l’istituzione del sistema integrato 0-6 anni. Considero questa delega, come ho spiegato in un mio articolo, “la madre di tutte le deleghe” per il settore paritario.
Al primo approccio si nota che lo “stile” dell’estensore è lo stesso di quello della legge 107, come se si fosse dato vita ad una nuova corrente letteraria: senza scomodare Ungaretti, un “neo-ermetismo” che si caratterizza per l’impenetrabilità, ed un’ambiguità nei termini con espressioni di non sempre facile interpretazione.
Riscontriamo questa modalità già nel titolo. “Sistema Integrato” da sempre ha avuto il significato di apertura alla partecipazione di diversi attori che erogano un servizio pubblico con pari dignità. Nel decreto diventa un termine ambiguo e di diversa interpretazione: “integrato” si riferisce al sistema organizzativo verticale a partire dai servizi educativi per l’infanzia fino alla scuola dell’infanzia. Da questo cambio interpretativo prende riferimento tutta la stesura del decreto spegnendo, di fatto, le speranze del settore paritario di essere di fronte ad una nuova stagione che desse l’avvio, a livello nazionale, ad un vero “sistema integrato” sullo stile di quello già esistente e ben funzionante in alcune realtà comunali, come a Brescia.
L’uniformità dello “stile” con la 107 si rileva nell’analisi integrale, in cui si riscontra che anche in questo testo il termine “paritarie” compare solo due volte e solo per dire che esistono — art 2. Comma 2b e art. 12 comma 6 — (nella legge 107/15 su 232 commi solo tre volte); fatto inevitabile visto che, ad oggi, le scuole paritarie dell’infanzia gestite da realtà private coprono il 28 per cento del servizio offerto alle famiglie sul territorio nazionale (come si legge nella Relazione illustrativa) e, come sappiamo, in alcuni territori raggiungono e/o superano il 50 per cento.
L’esperienza avuta con la 107 deve esserci di esempio e dobbiamo farne tesoro per ricordare quanto le parole rassicuranti di membri del Parlamento e delle istituzioni sul non uso esplicito del termine “paritarie” (“con questo si è voluto rafforzare il principio che la scuola è una senza più divisioni tra paritaria e statale“), sono rimaste parole non comprovate dai fatti.
Non possiamo dimenticare che ogni volta che si è dovuto attuare un intervento finanziario previsto dalla 107 (alternanza scuola-lavoro, bonus docenti, formazione docente…), il testo un po’ impenetrabile e un po’ ambiguo ha permesso di scegliere l’interpretazione: “solo perla scuola statale” e non “per tutto il sistema”.
Solo il grande lavoro politico, determinato e paziente, fatto in primis dal sottosegretario Toccafondi ha riportato qualche iniziativa sul giusto binario, come l’accesso anche per le scuole paritarie ai 100 milioni di finanziamento per l’alternanza scuola-lavoro e l’accesso allo school bonus con versamenti diretti alle scuole.
Da qui la forte richiesta — richiesta che non è una “diminutio”, ma un giusto riconoscimento e valorizzazione del prezioso servizio educativo e sociale erogato alle famiglie italiane — verso l’importanza di un cambio di “stile” per una stesura che espliciti con chiarezza la presenza della scuola paritaria in tutti i punti chiave del decreto, onde evitare ancora una volta che nella sua attuazione concreta si metta nel dimenticatoio la scuola paritaria.
Affinché da questo processo legislativo esca per il settore 0-6 anni un “sistema integrato” nella sua accezione originaria quale primo esperimento di norme coerenti con il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione (non modificata ed ancora vigente), occorre che ove si toccano punti nodali e positive iniziative innovative si espliciti la necessaria presenza della scuola paritaria per raggiungere l’obiettivo, citato nella Relazione: “l’esigenza primaria di garantire, sin dalla nascita, pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco a tutte le bambine e a tutti i bambini, concorrendo ad eliminare disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali“.
Obiettivo per il cui raggiungimento condiviso si rende necessaria anche l’organizzazione verticale per “il superamento della dicotomia tra servizi educativi per la prima infanzia e la scuola dell’infanzia“, ma che non può essere raggiunto senza una pluralità di attori agenti in “pari dignità” ed attenzione istituzionale.
Nello specifico occorrerebbe prevedere esplicitamente che le scuole paritarie possano costituire autonomamente Poli per l’Infanzia (art. 3 comma 2), che abbiano accesso ai concorsi con procedura aperta (art. 3 comma 8), che il previsto, giusto, ampliamento, nelle percentuali previste dei servizi per l’infanzia (33%), della presenza nei Comuni (75%) e la generalizzazione progressiva, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, della scuola dell’infanzia per le bambine e i bambini dai tre ai sei anni d’età (art. 4 commi 1a-b-c) “tenga conto delle strutture esistenti, statali e paritarie da valorizzare nel rispetto del principio costituzionale di sussidiarietà“.
Esplicitare l’apertura al personale delle scuole paritarie ai corsi di formazione (art. 5 comma 1c e art. 12 comma 1c), prevedere la presenza di almeno un rappresentante delle scuole paritarie gestite da privati nella Commissione per il Sistema integrato di educazione e di istruzione (art. 10 comma 2).
Di particolare importanza poi è intervenire con modifiche sull’art. 12 in cui si definiscono le finalità e criteri di riparto del Fondo nazionale per il sistema integrato di educazione e di istruzione, ossia della allocazione delle risorse, nel quale diventa necessario prevedere interventi sul sistema e non limitati alle scuole statali e agli enti locali: interventi per risanamento conservativo e messa in sicurezza anche di stabili di proprietà privata (comma 2a), partecipazione a quota parte delle spese di gestione aperta a tutte le scuole del sistema (comma 2b), l’erogazione delle risorse del Fondo come cofinanziamento esplicitamente aperto a tutti i servizi educativi e scolastici per l’infanzia “statali e paritari del Sistema Integrato” e che le risorse erogate direttamente ai Comuni, con priorità per quelli privi o carenti di scuole dell’infanzia, si chiarisca siano destinate a statali e paritarie.
Mi scuso con i lettori se la mia sembra una lettura e ricerca “certosina”, ma come detto ritengo la posta in gioco della massima importanza. Senza questi interventi si andrà verso la “statalizzazione” del settore, come hanno lamentato diversi interventi della associazioni nell’ultimo incontro al ministero con il ministro Fedeli e il sottosegretario Toccafondi, portando alla scomparsa di realtà che per tradizione e consolidate capacità professionali offrono un ottimo servizio alle famiglie del nostro paese, anziché aprire la stagione di una nuova modalità legislativa “di sistema” verso una concezione moderna di welfare sostenibile e di qualità con una pluralità di attori, che come dimostrato scientificamente ed economicamente, nelle realtà in cui si è già applicato, comporterebbe un maggior equilibrio e riduzione della spesa pubblica in un momento storico in cui tutti cercano la sua riduzione contro il grande, altrettanto dimostrato, aumento della spesa che comporterebbe l’apertura indiscriminata di nuove istituzioni gestite dallo Stato.
Il ministro nel suo intervento introduttivo all’incontro con il Gruppo di lavoro per la parità ha voluto iniziare il suo intervento esplicando che per lei “parità si esplicita con le prime quattro lettere della parola ossia “pari”. Lo prendo come un grande buon auspicio.