Il legislatore trascura del tutto le peculiarità di una docenza prevalentemente al femminile, soprattutto nella scuola primaria, dove — lo ha richiamato di recente un articolo uscito su La Stampa — “un solo genere (quello femminile, ndr) occupa dall’82 al 96 per cento dei posti di lavoro disponibili”. Non solo. L’eccessiva “femminilizzazione” si accompagna ad una scarsa coscienza dei problemi di salute della scuola, soprattutto quelli stress lavoro-correlato; mancano conoscenze nei dirigenti, prevenzioni e controlli. Eppure, i numeri ci sono e parlano chiaro, spiega Vittorio Lodolo D’Oria, medico e autore di studi sul burnout. Solo che la gente — le famiglie — non li conosce.



Dottore, lei si occupa da oltre un ventennio di ricerca attraverso la comparazione delle malattie professionali degli insegnanti rispetto ad altre categorie di lavoratori. Da troppo tempo quasi totalmente al femminile, tale “mestiere” richiederebbe un’attenzione specifica da parte del legislatore? Quale?



Apro e chiudo subito la querelle sulle quote rosa e quote blu che lascio volentieri a quelli che Sciascia chiamava i “quaquaraquà”. Nutro profonda stima e ammirazione per la “donna 3m” (madre, moglie, maestra) che ringrazio di cuore per quanto e come lo fa. Purtroppo siamo nell’epoca in cui se hai più uomini, reclami più donne e viceversa. Entro subito nel merito dei problemi di salute della scuola e dico che nell’ordine vanno immediatamente: a) riconosciute le malattie professionali degli insegnanti (che sono prevalentemente — all’80 per cento — di tipo psichiatrico; b) allocati fondi adeguati per attuare la prevenzione prevista per legge; c) adottata una prevenzione efficace basata sulla formazione dei docenti; d) attivati i controlli perché tutti gli istituti scolastici attuino una prevenzione vera e non di facciata; e) presentati annualmente all’opinione pubblica i dati sulla salute reale del corpo docente per sfatare i nefasti stereotipi sulla professione insegnante. 



Quali dati mancano alle sue ricerche affinché sia possibile dimostrare scientificamente, numeri alla mano, che l’insegnamento è professione ad alto rischio di logoramento psicofisico e che il personale al femminile della scuola necessita di formazione mirata e di tutele maggiori?

Ai miei dati non manca assolutamente nulla da oltre un decennio: basti vedere le pubblicazioni scientifiche su La Medicina del Lavoro (nn. 5/2004 e 3/2009). Quello che manca sono le ricerche su scala nazionale che governo e istituzioni si ostinano a non fare nonostante i miei reiterati appelli. I dati delle Commissioni mediche di verifica sono conservati gelosamente in un sottoscala dell’Ufficio III del ministero dell’Economia che non solo non li elabora, ma impedisce a chiunque di utilizzarli. 

Perché?

Il mio fondato sospetto a questo punto è che abbiano paura di scoprire una realtà amara e ingestibile che allarmerebbe le famiglie e l’opinione pubblica. Meglio perciò fare gli struzzi. La cosa che assolutamente non comprendo è l’assordante silenzio dei sindacati in materia. Forse il ministro Fedeli potrebbe aiutarmi a capire, considerata la sua lunga militanza nel sindacato.

 

Sono sempre più numerosi i casi di cronaca che vedono protagoniste le maestre filmate per mesi durante l’esercizio della loro quotidianità. Cosa pensa di questa modalità all’insaputa della dirigenza scolastica?

L’autorità giudiziaria non deve sostituirsi all’istituzione scolastica, perché non ha minimamente il know-how necessario per entrare nel merito della questione educativa e formativa. Seguo da vicino molti processi in ambito pubblico (quello privato è tutta un’altra cosa) e assisto ai danni irreparabili a carico del sistema, della categoria professionale delle maestre e dei singoli individui sottoposti a processi mediatici e gogna pubblica. 

 

In sostanza che cosa succede?

Nel corso delle indagini con telecamere nascoste i filmati vengono trascritti da “giallisti incapaci”: innocui scappellotti diventano “sberle violente”; buffetti e pacche vengono trascritte come percosse; contenimenti di ragazzi autistici da parte dell’insegnante di sostegno vengono intesi come “violenze e limitazioni della libertà personale” e via discorrendo. Per questi fraintendimenti vi sono richieste di oltre quattro anni di carcere a carico di serie e attempate professioniste, senza tenere conto delle famiglie che intendono ottenere ingenti e ingiusti risarcimenti a scapito di chi è finito nel tritacarne della giustizia.

 

I dirigenti scolastici (spesso ex insegnanti donne, appunto) hanno una formazione adeguata rispetto alla questione dello stress lavoro-correlato, a norma di legge? Esistono stanziamenti ad hoc?

Tutti i dirigenti scolastici, a prescindere dal fatto che siano uomini o donne, sono completamente impreparati rispetto alle loro incombenze medico-legali. La colpa tuttavia non è loro ma dell’istituzione: questa non riconosce le malattie professionali e di conseguenza non si sa quale debba essere la prevenzione. Tutto ciò — come già detto — senza che siano stanziati fondi ad hoc.

 

Le recenti politiche previdenziali tengono conto di questa situazione anomala?

Le riforme previdenziali in Italia si fanno incredibilmente al buio, cioè senza valutare lo stato di salute della categoria professionale. In altre parole si vara la riforma sulla carta senza tenere conto in alcun modo di età anagrafica e anzianità di servizio. Così facendo non si va lontano e si è costretti a innestare la retromarcia come ha fatto il precedente governo, dichiarando usurante la categoria professionale delle maestre della scuola d’infanzia (ma in realtà, come mostrano gli studi ad oggi disponibili, lo sono tutti i livelli d’insegnamento) e consentire il prepensionamento. Siamo veramente arrivati al momento in cui il medico del lavoro deve possedere anche la specialità in geriatria e viceversa. 

 

Cosa suggerirebbe alla ministra Fedeli in merito alla prevenzione, gestione e cura del burn-out dei docenti di cui scrisse ampiamente il suo predecessore Tullio De Mauro quando presentò il dossier “Scuola di follia” nel lontano 2004?

Riassumendo le direi di: a) avviare subito su scala nazionale gli studi sulle malattie professionali dei docenti; b) finanziare e attuare la prevenzione dello stress lavoro-correlato nei docenti tenendo in debito conto età e sesso come vuole la legge (art. 28 Dl 81/08); c) formare i dirigenti in merito alle loro incombenze medico-legali; d) avviare a tappeto i controlli perché la prevenzione e formazione sia fatta efficacemente in tutte le scuole; e) informare annualmente l’opinione pubblica sulla reale condizione di salute del corpo docente. Per fare questo, mi creda, non ci vuole una laurea.