Caro direttore,

È ormai consueto sentire e leggere la parola “università” associata a osservazioni di rammarico e delusione, per ragioni anche fondate. Ricordare e ripetersi che l’università non è nata per questo, e che alla sua origine essa era tutt’altro è certo utile e buono, eppure non basta. Ci incuriosisce ma non ci cambia un’idea, un concetto, o l’immagine delle prime università medievali; ci cambia poter rivivere la stessa esperienza, poterla conoscere.



Questo è accaduto all’Università di Tor Vergata, a Roma, dove dal 20 al 28 febbraio l’atrio del primo piano di Lettere e Filosofia ha accolto un’interessante mostra. Al centro Dietrich Bonhoeffer, filosofo tedesco e teologo luterano, protagonista della resistenza al regime nazista, giustiziato a 39 anni nel campo di concentramento di Flossenbürg. Il progetto, curato da dieci studenti di Filosofia, è nato durante un corso di storia del pensiero teologico dedicato a Resistenza e resa e all’Etica di Bonhoeffer.



Una mostra itinerante su questo autore in Italia non esisteva, e questo ha aiutato a sollevare la curiosità di chi lo conosceva, e anche di chi non lo aveva mai incontrato. Preparare un’esposizione di bel nuovo, dovendo curare ogni particolare, è stata una grande avventura, per tanti motivi e per molte scoperte. La prima è forse quella del limite con cui ci si scontra: di fronte all’ampiezza e all’importanza di tutto ciò che si potrebbe dire per presentare un personaggio bisogna scegliere, ridurre, contenere. Ma se è vero che è impossibile ricostruire l’enorme profondità umana e intellettuale di Bonhoeffer, è vero anche che questo limite ci ha costretto e permesso di andare a fondo, chiedendoci cosa era anzitutto per noi essenziale, tanto da volerlo raccontare a tutti. Così i venti pannelli sono stati l’occasione per metterci sulle tracce di Bonhoeffer, facendolo parlare: della sua vita e delle sue scelte audaci, della responsabilità e dell’etica, della libertà, dell’amore, del “mondo diventato maggiorenne” e della domanda “di che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo”.



Il fatto di non poter dire tutto si è trasformato in una risorsa: presentare la mostra con il desiderio di destare, in chi ascoltava, l’interesse di cominciare a leggerlo, a conoscerlo. È stato bellissimo vedere come questo è accaduto. Usciti dall’incontro d’inaugurazione — al quale hanno partecipato tre studiosi ed esperti: Eraldo Affinati, Emilio Baccarini, Giovanni Salmeri — Alessandro, uno studente al secondo anno del corso di laurea in Filosofia, ci dice: “Ho deciso, voglio fare la tesi su Bonhoeffer!”. Nei giorni successivi sono stati numerosissimi i visitatori arrivati all’Università di Tor Vergata, da quelli solitari ai centoventi studenti di qualche liceo romano. Ogni visita guidata è stata un’occasione di incontro, confronto, approfondimento e domande, per chi ascoltava e per chi guidava. Arrivati ai pannelli finali, dopo aver fatto in qualche modo un tratto di strada di e con Bonhoeffer, ci hanno colpito le reazioni e i commenti: molti si sono commossi, altri si sono interrogati. Uno studente di quinta liceo ha osservato: “Ma se sapeva che sarebbe stato giustiziato, non poteva farsi i fatti suoi?”. Neppure il tempo di pensare ad una risposta, ed un suo compagno di classe ribatte: “Ma non vedi? non hai capito? La storia non si fa restando fermi, ma agendo!”: “non restare sospesi nel possibile, ma afferrare arditi il reale; non nella fuga dei pensieri, ma nell’azione soltanto è la libertà”, scriveva Bonhoeffer.

“Bonhoeffer mi è piaciuto da subito — dice Tricia, tra le organizzatrici della mostra — perché vi ho trovato qualcosa di nuovo e mai visto, che mi ha appassionato. Questo, per una non credente come me, penso sia fantastico”; e Chiara, laureanda in filosofia della scienza: “le osservazioni dei visitatori che ho accompagnato hanno confermato sempre ciò che io ho intuito all’inizio: la straordinarietà di un personaggio che riesce ad essere unito. La concretezza delle sue azioni ha reso vivo il suo pensiero che non è svanito col tempo ma è attuale; ogni persona che ha avuto modo di conoscerlo ha portato con sé ciò che cercava”. Così i molti commenti lasciati sul guestbook: “è stato commovente vedere un uomo che ha vissuto col cuore coraggioso, reso forte da ciò in cui credeva. È uno dei motivi per cui si ha l’impressione di vivere. Grazie per questa bellissima mostra e per il vostro coinvolgimento che ha mi ha permesso di conoscere Bonhoeffer”; o ancora il commento di Eleonora, docente di matematica, che accompagnando i suoi studenti si stupisce della loro partecipazione, spesso sopita tra i banchi di scuola: “è stato bello vedere gli occhi dei miei alunni così interessati: è per me la dimostrazione della grande riuscita di questa mostra”.

Tra le altre cose belle e grandi che abbiamo scoperto c’è questo: la possibilità di vivere l’università, il posto in cui si passano per anni le proprie giornate, in un modo tutto nuovo e tutto vivo, in cui ogni momento è segnato dall’attenzione a ciò che sta accadendo, alle persone. Nel tempo libero tra una visita e l’altra ci si racconta degli incontri fatti durante le visite, delle domande emerse, spesso si leggono le Lettere alla fidanzata di Bonhoeffer. E poi si discute di tutto, dagli esami che si stanno preparando alla tesi di laurea, al lavoro, in un moto di amicizia che incuriosisce. “Proprio così mi immagino l’università!”, scrive una studentessa che, passando accanto alla mostra, rimane insieme a noi per qualche ora.

Vanessa, anche lei tra le guide, alla fine della mostra racconta: “Sono rimasta colpita dalla potenza con cui un’idea può realizzarsi concretamente grazie all’unione di qualcuno. Raramente questo è possibile nell’Università, e aver avuto la possibilità di farlo, viverlo, è stato profondo. Mi è piaciuto studiare un autore, ma studiare per arrivare ad amarlo. Mi hanno colpito le persone a cui ho fatto la visita guidata, in particolare gli studenti, vederli interessati perché la prima ad esserlo ero io. Questa è la conferma che quando si fa qualcosa con passione, raramente si tengono gli altri fuori”.

Sicuramente continueremo a leggere e ascoltare i problemi dovuti alla burocrazia galoppante e le perplessità sulla cattiva organizzazione delle risorse, ma sarà difficile non pensare subito anche all’esperienza vera e interessante che abbiamo fatto di università attraverso e a partire dall’evento di questa mostra. Un evento che è nato, per usare le parole di Bonhoeffer, in “un’ora felice dalla libertà che gioca, che osa, che confida”. Talvolta sono sconcertanti le fallacie di un’istituzione che potrebbe fare tanto e tanto altro, favorendo l’enorme possibilità e il compito che custodisce. Ma è davvero rincuorante vedere che nessuna malamministrazione e nessuna mancanza può impedire che la libertà delle persone, di dieci studenti, semplicemente si muova, diventando creativa e generando qualcosa di molto bello.