Caro direttore,

Di recente si è svolto nel Liceo classico Berchet di Milano il seminario di formazione dal titolo: “La didattica del latino per gli studenti con disturbo specifico di apprendimento: normativa, teoria e pratica”. Con questo intervento ho chiuso, almeno per ora, il ciclo di incontri che mie ero proposto di svolgere nei licei classici con l’obiettivo non solo di fornire un quadro più esaustivo circa la dislessia nella didattica del greco antico e del latino, ma soprattutto di sensibilizzare quei colleghi che sono ancora scettici al riguardo.



Ho svolto quattro incontri — al Liceo “d’Azeglio” di Torino, “Minghetti” di Bologna, “Arnaldo” di Brescia e “Berchet” di Milano — aperti a tutti i docenti interessati, anche esterni alla scuola ospitante. La risposta è stata positiva, in quanto moltissimi colleghi, non obbligati dalla formazione “obbligatoria, strutturale e permanente” imposta dalla Buona Scuola hanno partecipato.



Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente sia i dirigenti scolastici degli istituti menzionati sia i colleghi intervenuti, perché il “problema” della dislessia è, per quanto riguarda la mia esperienza, ancora un tabù per gran parte dei classicisti.

Certamente il dibattito sulla cultura classica nei nostri tempi e sulla crisi dell’istruzione classica che affligge anche il nostro Paese, forse l’ultimo baluardo dell’insegnamento delle lingue antiche nelle superiori in un’ottica di educazione liberale e umanistica (Humanities, come direbbero gli inglesi?), è una questione complessa, di cui tutti noi docenti siamo ben consapevoli.



Anche il Miur e il mondo accademico italiano dimostrano fattiva collaborazione nell’affrontare siffatta crisi e adottano specifiche iniziative volte a sostenere il valore della cultura classica, pur in sintonia con il mutamento dei tempi, caratterizzati da elevata tecnologia, omologante globalizzazione e società liquida.

Ma non vorrei dilungarmi su questo punto su cui hanno scritto, oltre a me, altri uomini più dotti e più autorevoli, anche sulle pagine del sussidiario.

Eppure non è inutile sottolineare, se mai fosse il caso di ribadirlo, ai cultori delle lingue di Omero e Cicerone, l’importanza di una didattica veramente inclusiva delle lingue antiche anche per gli studenti Dsa, ovvero con disturbo specifico dell’apprendimento, adeguatamente certificati, che sono presenti nelle nostre classi. 

Al di là della legge dello Stato e delle numerose circolari emanate dal Miur, che costituiscono per tutti noi cittadini e docenti un obbligo di osservanza, ho l’impressione (ma forse fallace) che di didattica inclusiva del latino e del greco antico a studenti Dsa non se ne parli a sufficienza, oppure essa venga trattata in minore tono, come fatto tecnico (e lo è…) oppure “incombenza” burocratica (e non lo è), rispetto a questioni o temi ritenuti prioritari nell’agenda dei classicisti. 

Nel corso dei miei incontri, è emerso uno spaccato di tranche de vie alquanto variegato: per esempio, qualche collega, dopo la mia relazione tecnica, nel momento del microfono aperto, ha raccontato che nel suo liceo classico di provincia una famiglia, convocata verso novembre per conferire circa il rendimento scarso del figlio nel primo anno, ha confessato che il ragazzo era dislessico, sventolando il certificato: ma perché non lo ha presentato subito a inizio anno? Perché si “vergognavano”! La dislessia viene vissuta da certe famiglie, persino culturalmente e socialmente altolocate, come una sorta di menomazione o “ritardo” nei figli da nascondere finché è possibile.

Chiaramente questo è una caso estremo, ma ricordiamoci le parole della mamma romana con due figli dislessici iscritti a un liceo classico che ho intervistato proprio su queste pagine. Nel corso delle mail che ho tenuto con L.M., per la scelta dello pseudonimo per i due ragazzi (minorenni), mi scrisse: “Abbiamo chiamato i nostri figli Tiberio e Gaio, come i fratelli Gracco, perché sono i nostri gioielli e vogliamo che possano studiare ed avere l’opportunità di diventare qualsiasi persona vogliano essere. Mi scusi se abbiamo cambiato il nome Luca”. Poi di fatto sono stati mantenuti Luca e Carlo, perché meno impegnativi per un articolo del terzo millennio.

Approfitto anch’io per lanciare un appello, forse meno nobile di altri (per esempio, ricordiamo quello per salvare il liceo classico, le lingue classiche, la lingua italiana, eccetera).

Secondo me, sarebbe auspicabile che, in generale, il tema della didattica inclusiva avesse maggiore rilevanza negli incontri e convegni dove si parla di cultura classica, in modo tale da sensibilizzare anche i docenti più “titubanti” rispetto al campo dei Dsa. Sono pochi (davvero?!), ma ci sono… a partire dai corsi che preparano i giovani a diventare futuri professori di greco e latino (ma anche per le altre discipline). Per quanto mi risulta, nelle vecchie Ssis o nei moribondi Tfa pochissimo se non nulla è dedicato alla formazione specifica sulla didattica ai Dsa, che per legge non possono avere il docente di sostegno, a differenza degli alunni diversamente abili.

Su ciò il mondo universitario, che incamera fior di tasse degli ex sissini, ora tieffini (e domani?), dovrebbe avere maggiore attenzione e sensibilità, nella formazione dei futuri docenti.

Inoltre sarebbe particolarmente significativo che nei bandi pubblici emanati da istituzioni scolastiche e/o da enti pubblici, per certamina, olimpiadi, certificazioni, competizioni di ogni sorta e natura, nell’ambito della cultura classica, fosse scritto, in maniera esplicita e non sibillina, un richiamo ai diritti degli alunni Dsa, in base alla normativa vigente. Tale richiamo andrebbe inserito in modo chiaro nei bandi e nei regolamenti: qualcuno lo avrà sicuramente fatto, altri no, oppure qualcuno dirà: “è sottointeso!”. 

A scanso di equivoci, a mio parere, sarebbe cosa buona e giusta, nonché un fatto democratico, usare la massima chiarezza in tal senso; per non dover dire come poetava il nostro amato Tosco: “Così la neve al sol si disigilla,/così al vento ne le foglie levi/si perdea la sentenza di Sibilla”.

Insomma dare visibilità alla dislessia in questo genere di bandi è un modo per sensibilizzare anche i più riottosi, per raggiungere veramente l’inclusione di tutti gli alunni, anche nei licei classici.