Come è noto, la Commissione cultura del Senato ha concluso l’esame dei ddl delega previsti dalla legge 107/2015 “Buona Scuola”, concludendo in tal modo l’iter parlamentare dei provvedimenti.
Vale la pena soffermarsi sullo schema di decreto legislativo recante la valutazione, certificazione competenze e esami di Stato (atto n. 384) cui la Commissione ha dato il proprio parere favorevole, accogliendo le condizioni e le osservazioni della relatrice Puglisi e dichiarando preclusi i pareri alternativi.
Tra le condizioni e osservazioni vi è la possibile soppressione dei comma 3 e 5 dell’articolo 21 che andrebbe ad eliminare la possibilità che il risultato del test Invalsi sia inserito all’interno del curriculum dello studente e la possibilità per gli atenei di tenere in considerazione quel risultato per l’ammissione degli studenti ai propri corsi.
I test Invalsi, nell’attuale disegno di legge, non determineranno il giudizio complessivo dello studente sull’esame di maturità. Non lo determineranno neanche in parte. Le ipotesi vagliate dalle commissioni erano quelle di inserire l’esito delle prove Invalsi nel curriculum dello studente con nota a parte nell’attestato. Ma, a quanto pare, si è voluto vietare alle università o a chiunque (datori di lavoro compresi) di utilizzare il test Invalsi per selezionare i propri studenti. E allora le università dovranno rifarsi i test. Con soldi pubblici per le statali (spesi quindi due volte). E anche le università private avrebbero forse qualche idea alternativa su come spendere meglio i propri soldi. Magari assumendo, ad esempio, qualche ricercatore in più.
Ma qual è la paura? Che le università attribuiscano valore ai test senza accogliere il parere di coloro che meglio li conoscono, ovvero i professori delle scuole superiori? E le università che interesse avrebbero ad avere una visione così miope delle prove Invalsi? Nessun ricercatore o docente degno di questo nome pensa oggi che le prove Invalsi siano lo strumento per valutare lo studente nella sua interezza. Le università sono fatte di professionisti in grado di capire la complessità sottesa alla valutazione del profilo dello studente. Le prove Invalsi sono un pezzo importante per conoscere le potenzialità di chi sceglie determinati corsi di laurea. Il voto di maturità è un giudizio sempre meno riconosciuto perché risponde a valutazioni contestuali. Si pensi alla distribuzione delle lodi della maturità sul territorio nazionale: più lodi nelle regioni che hanno valutazioni più basse nelle prove standardizzate (Invalsi, Ocse-Pisa, Iea-Timss). Non siamo qui per discutere sul perché ciò avvenga, ma che piaccia o non piaccia agli atenei il voto di maturità così com’è non basta. E non basta nemmeno far presiedere le commissioni esterne negli esami di maturità, perché queste, pur più costose sia dei test e sia delle sole commissioni interne, rispondono delle stesse logiche di queste ultime.
La possibilità di disporre in un documento unico sia della valutazione della scuola e sia dell’esito delle prove Invalsi consentirebbe alle università di avere una visione (finalmente) più completa del profilo dello studente.