Nuovo scontro tra il Mef ed il Miur, questa volta con qualche ragione da parte del Mef, cioè del ministero dell’Economia, in merito alla nuova sanatoria richiesta dal Miur di altri 30mila docenti precari. Cioè una manovra elettoralistica a sfondo assistenzialistico, ennesimo schiaffo in faccia ai nostri giovani in gamba, che fa pendant alla nuova gaffe del ministro Poletti.



L’annuncio di un piano per l’assunzione massiccia di precari e bocciati al concorso penso abbia lasciato di stucco mezzo mondo del lavoro. Quasi a dire, senza mezze parole, che nel mondo della scuola non è il merito quello che fa da guida, ma appunto un’altra — l’ennesima — sanatoria, senza filtri, a danno dei giovani bravi e capaci, magari costretti a lasciare il Paese in cerca di fortuna all’estero, o a lavori lontani dai titoli di studio, nella precarietà. Il vizio assistenzialista come cerniera elettorale, dunque.



Eppure, lo sappiamo bene, la qualità della scuola dipende anzitutto dalla qualità del suo personale, prima che da ordinamenti, linee di indirizzo, strutture e risorse. Ma se si continua ad inseguire logiche assistenziali, la qualità della scuola non sarà frutto di azioni di sistema, ma solo della buona volontà dei presidi e docenti in gamba, non riconosciuti da contratti di lavoro o altro. Puro spirito missionario. 

Il male endemico italico è e rimane, più a monte, il centralismo, foriero di assistenzialismo per ragioni elettorali. E dire che basterebbe, anche solo per un anno, macché, per un mese, forse per una settimana, chiedere ai ministeriali di gestire, coordinare, governare una scuola, piccola o grande. Basterebbe. E si capirebbe al volo che questo modo di procedere non ha più senso, perché non tocca la realtà. La quale è fatta non di un merito ridotto e ristretto alle sole conoscenze da accertare in un concorsetto, più o meno nozionistico. Ma di un merito che vive di vita esistenziale, quindi fatto soprattutto di capacità e di competenze da mettere sul campo ogni giorno, in un gioco di squadra nel quale sono poi la passione, la dedizione, la sensibilità che contano.



Basterebbe solo una settimana, e capirebbero al volo che la scuola non è quella che tentano di descrivere nei loro documenti, nei conversari con i sindacati. Ma i decisori politici e ministeriali sanno queste cose? Non le sanno. Del resto, non sono mai entrati in classe, in una scuola. Lo sanno i sindacati, difensori del corporativismo? Lo sanno, ma fanno finta di niente, pur di avere qualche tessera in più a difesa del proprio distacco. Men che meno lo sanno i politici, vecchi e nuovi, interessati solo ai riscontri elettorali permanenti.

I politici, cioè, guardano alle prossime elezioni, non alle prossime generazioni, per citare De Gasperi.

Ed i giovani in gamba? Perché non si ribellano a queste cose, invece che protestare sui tornelli, come di recente a Bologna? Il punto di Archimede dovrebbe essere questa domanda: qual è la scuola che ti piace pensare per i tuoi figli, visto che si tratta di “servizio pubblico” e non di faccenda privata?

Qual è la scuola che ci piace, che piace pensare per i nostri figli? E’ quella che coinvolge, che trasmette il sapore del sapere, il gusto della ricerca, la capacità di domandare, prima del semplice rispondere ai quesiti, ai test, ai compiti, alle interrogazioni. Insomma, la scuola che fa brillare gli occhi. Che non si limita a insegnare le singole materie o nozioni, ma che, “attraverso” le materie e le nozioni, allena al pensare, al riflettere, al prendersi cura.

Tanti sono i docenti che, nelle nostre scuole, rappresentano per i nostri bambini e ragazzi queste figure di adulti significativi. Veri maestri. Tanti, ma non tutti. Non ci sono concorsetti e contratti di lavoro che tengano, di fronte a questi maestri, come non ci sono concorsetti o contratti in grado di limitare la presenza a scuola di docenti non sempre preparati, o stanchi educativamente. I contratti, perché format generali, in questi casi non servono. Anzi, di solito sono invocati da chi ha qualcosa da farsi perdonare. Perché i maestri non ne hanno bisogno. Sono già riconosciuti dai loro ragazzi, meno dal Miur, dai sindacati, dalle burocrazie. Una grande ingiustizia. Come sono ingiusti tutti i meccanismi, i matematismi, come le graduatorie varie, perché prescindono dalle persone reali, cioè dalle loro effettive capacità e competenze oggi richieste. Hard e soft skills, per usare un linguaggio che oggi va per la maggiore.

A quando contratti di lavoro, su una base comune generale ma con una sostanziosa autonomia di istituto, capaci di riconoscere questo “valore aggiunto”, cioè di pensiero positivo, di presidi, docenti e ata? I licei sperimentali degli anni ottanta e novanta, con i comitati di valutazione, avevano la possibilità di esprimere una valutazione sul valore effettivo del “servizio” dei docenti “comandati” dalle altre scuole per un incarico ad hoc in questi percorsi sperimentali: in caso di giudizio negativo a questi docenti veniva annullato il comando e lasciavano la scuola. Un segnale di intelligenza concreta.

Ripartiamo dall’effettiva autonomia delle scuole, intese come scuole delle comunità locali, con organi collegiali funzionali a questa autonomia. Ripartiamo, cioè, dal primato della società civile e degli enti locali, in una logica sussidiaria.

Ma i vari muri di gomma corporativi hanno ben altri interessi.