Aprile è il più crudele dei mesi anche per i rappresentati dell’editoria scolastica: dopo febbraio e marzo passati a recapitare quintali di volumi in tutte le scuole di tutti gli ordini e gradi, arrivano con le loro auto familiari, vuote questa volta, o tutt’al più con qualche piccola aggiunta che eventualmente può essere richiesta da qualche professore. Ecco, adesso, nell’aprile crudele, tornano da loro, controllano sugli scaffali che i libri che hanno lasciato siano almeno stati scartati, salutano cortesemente e chiedono come va, se hanno guardato quei volumi di antologia, cosa ne pensano, se hanno già un orientamento circa la scelta.
E quest’anno, per restare ai volumi di antologia delle scuole medie, le case editrici si sono davvero superate, così che i rappresentanti — chissà se si chiamano ancora così, o sono operatori di non so cosa anche loro — hanno davvero sudato sette camicie per fare il loro giro, consegnare e illustrare quelle specie di enciclopedie che i loro datori di lavori si sono inventati.
Tra le pubblicazioni si possono addirittura contare, per un intero corso di scuola secondaria di primo grado, la scuola media, appunto, fino a 13, 15 volumi: oltre al volume antologico vero e proprio, diciamo così, troviamo per la classe prima il volume di epica, il quaderno operativo delle competenze, il quaderno con i testi semplificati, quello con i testi facilitati, quelli ad alta leggibilità; in seconda a questi si aggiungono il volume di letteratura e quello di letteratura inclusiva; in terza poi, tutti questi, più, quando va bene, almeno un quaderno ad hoc per l’orientamento; oltre a ciò si tenga conto della guida per l’insegnante, un agile volumetto di circa 400 pagine in cui il professore può cercare di capire come potere usare degli altri e tutti i sussidi multimediali, allegati o scaricabili on line.
Straordinaria editoria scolastica: ancor prima che escano le nuove direttive ministeriali, e solo un attimo dopo che le leggi sui Bes vengono diffuse, sforna volumi che accolgono le nuove linee programmatiche e dicono le parole magiche che gli insegnanti, felicemente aggiornati negli ultimi anni su quanto si muove ed è necessario conoscere in ambito educativo e didattico, vogliono sentirsi dire. Almeno alcuni. I rappresentanti lo sanno, hanno una preparazione specifica. Aprono i libri con quelli che arrivano dal Tfa e sciorinano la litania di parole magiche: competenze, inclusione, compiti di realtà, mappe, tipologie testuali, generi e temi. Perché poi, alla fine, i volumi si assomigliano tutti: nella prima parte qualche anno fa andava di moda soffermarsi sui generi e allora ecco il capitolo con la favola, le fiabe, via via fino al racconto di fantascienza, all’horror e al fantasy, in un’ansia di classificazione che assomiglia, oggi, quasi a un delirio.
Perché oggi va molto più di moda, nella prima parte, analizzare i tipi di testo, proprio quelli che i ragazzi hanno letto, forse, studiato, in cinque anni di elementari. Ma con qualche aggiunta: volete mettere un bel testo misto non continuativo in aggiunta a quelli argomentativi, espositivi, descrittivi, ecc. ecc.? A parte, come si sa, c’è la poesia, che è una specie di isola dentro il mare magnum dei generi che la precedono, e oggi vengono dopo le tipologie testuali, e quell’ampia scelta di brani tematici che spaziano dalla droga al bullismo, all’ecologia. Anche qui, i rappresentanti hanno formazione precisa e sguardo acuminato e sanno scovare gli insegnanti più inclini a un certo sessantottismo di ritorno, modificato e politicamente corretto, a cui queste pagine possono davvero interessare. Ma quando s’imbattono in qualcuno come me, hanno spesso uno sguardo sconsolato: lo so, professore, a te non ti frego, sembrano dire quegli occhi. Non basta chiamare le cose con un altro nome, per farci su, per abbindolarci a noi che siamo passati dagli anni ottanta su, su fino a questa vertigine di vuoto e proposte che ci girano intorno. Il ministero, le leggi, le circolari, oggi hanno un alleato ancora più invincibile di loro: i libri sono economia, sono il mercato, sono i soldi che girano nel carrozzone della scuola. E se anche loro vanno da questa parte, se anzi adesso sono loro che trascinano il carrozzone, che cosa volete che si possa fare, come volete che si possa organizzare la resistenza nei confronti di quello che Todorov chiamerebbe un pericolo mortale per la scuola e per la crescita dei nostri ragazzi?
Valerio Capasa pochi giorni fa denunciava da queste pagine la deriva di una scuola che non è più in grado di chiedere ai giovani di misurarsi con le cose. Ecco, questi libri sono l’espressione ormai codificata e trionfante di questa scuola. Un esempio su tutti: tra i volumi che mi sono arrivati in questi giorni, come ricordavo sopra, c’è una letteratura inclusiva. Cioè: siccome i dislessici non possono leggere Dante, Manzoni e Pirandello, o Verga e Pavese, cosa ti faccio io, casa editrice? Pagine di cartone in cui ti disegno l’inferno, il paradiso e il purgatorio; oppure un intero fumetto con il don Abbondio e il suo bel breviario in mano, o i bravi, così sporchi e cattivi, sulla strada, e via, via tutta la storia riassunta in disegni e spiegata con didascalie in caratteri ad alta leggibilità. Una riga di Manzoni, una terzina di Dante, neanche a pagarle.
Cioè: ad alta leggibilità ti includo e ti escludo, amore mio che non sai leggere, ma hai il diritto di sapere la rava e la fava, hai il diritto anche tu di sapere che Renzo e Lucia alla fine si sposano. Perché? Mia nonna che ha fatto la seconda elementare e leggeva a fatica recitava a memoria pagine dei “Promessi Sposi”, o poesie di Pascoli; i miei alunni dislessici e disgrafici stanno ore a sentire il professore che legge Tolkien o Lewis, o Franco Nembrini che legge il Dante. Siamo arrivati ai libri che, invece di farti innamorare dei libri, eliminano i libri: come è possibile per un maestro, un insegnante proporre una vergogna così?
L’anno prossimo, comunque, se questo è l’andamento delle cose, insieme ai tredici o quindici volumi scritti per cancellare la letteratura e insegnare ai bambini testi misti non continuativi suggerisco agli editori di inserire un bel plastico stile Bruno Vespa alle 11 di sera: che ne so, un plastico della Lombardia del ‘600 con una bella bacchetta con cui il professore segnala gli itinerari di Renzo e Lucia; o un plastico del convento così che si possa raccontare dove e come la monaca incontri la sventurata; o del castello dell’Innominato, con la stanza e la pistolina appesa dietro al letto, ad accompagnare il rovello del vecchio al di là del muro dove la giovane stava. Gli ho detto così al rappresentante, quando è arrivato ad aprile. Ha riso un po’, poi mi ha stretto la mano ed è tornato alla carica con quelli del Tfa. Io, per i miei piccoli, nuovi alunni che arriveranno già competenti dalle elementari su tipologie testuali e mappe concettuali — che senso ha darle già fatte ai piccoli in difficoltà? Le mappe non si costruiscono insieme, per imparare davvero? —, dopo averli guardati per un po’, chiederò loro di prendere un foglio e una penna e di scrivere qualche riga in risposta alla seguente domanda: che ci faccio io qui? E mentre scriveranno vedrò se qualcuno ha insegnato loro a scrivere in corsivo, per esempio. O a mettere apostrofo e accento quando si deve. Ma soprattutto cercherò di scoprire quale fame hanno, quale desiderio, se ne hanno ancora. Perché è su quella fame che costruiremo la scuola, e se non c’è, il nostro compito sarà quello di fargliela venire.
E dunque, per i libri? Per le nuove adozioni? Io intanto sceglierò di leggere e usare con loro quei libri che ci aiuteranno a fare crescere quell’io nei tre anni che ci sono concessi. E per i libri di storia e di geografia? Si aprirebbe un capitolo lungo anche su questi: misto? Non continuativo? Argomentativo? Mah, forse conviene lasciarlo comunque per una prossima volta. Per i plastici, poi, se qualcuno delle case editrici ci pensasse davvero, non faccia lo gnorri: non si prenda il merito, e il guadagno, tutto per sé, per questa specie di compito di realtà che qui ho suggerito e che, visti i tempi e nonostante il web, potrebbe andare tanto di moda.