Caro direttore,
vorrei condividere coni lettori del sussidiario una nota che mi è arrivata da un collega che insegna greco e latino nella scuola statale in risposta alla segnalazione dell’intervista a una mamma romana di due liceali dislessici.
Il collega mi scrive: “Ora aspettiamo una legge (e le Sue valorose battaglie) che obblighi le squadre di pallacanestro ad accettare atleti affetti da nanismo e corpi di ballo a riservare una quota di posti disponibili a danzatori e danzatrici che stazzino oltre i 100 kg!”. Naturalmente, a mio parere, il collega si riferiva al peso che io attribuisco alle sue parole, cioè il 100 per cento del nulla!
Molti docenti di lingue classiche ancora pensano che la “dislessia” sia una recente invenzione di qualche scienziato pazzo e di qualche solone della politica che hanno escogitato il modo di giustificare il pressappochismo da lazzaroni di studenti che non si applicano allo studio in modo serio.
Non è così, almeno non lo è per tutti. Facciamo un po’ di chiarezza.
La dislessia è, in generale, un disturbo della lettura di matrice neurobiologica per cui, negli individui in età evolutiva, l’automatizzazione delle procedure di transcodifica dei segni scritti nei corrispondenti fonologici, non avviene “normalmente”.
Una mamma mi ha scritto una mail assai istruttiva per noi docenti, che dovremmo essere meno autoreferenziali: “Mio figlio Alessandro (nome di fantasia) ha scelto il classico con convinzione e lo sta affrontando, va detto, con un coraggio da leone. Riesce a tradurre oralmente il latino e il greco, ma non è bravo a ripetere a filastrocca declinazioni e coniugazioni (che pure conosce); sa orientarsi in una frase parlando, scomponendola in parti, ragionandoci oralmente (e, non ultimo, apprezza queste lingue e i contenuti che vi incontra), ma posto di fronte alla versione durante il compito in classe si perde completamente… Alla richiesta di stabilire delle tappe graduali per raggiungere gli obiettivi, mi è stato risposto dall’insegnante di greco che non può diventare il precettore di mio figlio”.
Ciò che constata la signora trova pieno riscontro nella ricerca scientifica sui disturbi specifici dell’apprendimento. Infatti, le lingue classiche, altamente flessive, non agevolano certamente l’alunno dislessico che si imbatte materialmente in un processo più arduo di transcodifica dal codice scritto rispetto al codice parlato, che la lettura significa.
Lo studio mnemonico della morfologia e di un normario di regole sintattiche astratte è per l’alunno dislessico un carico eccessivo della memoria di lavoro per cui, se è necessario dispensare l’alunno dalla ripetizione mnemonica di queste informazioni, un valido strumento compensativo per svolgere esercitazioni, compiti a casa e verifiche in classe è un insieme di tabelle grammaticali che possono fornire dati che lo studente conosce e che è in grado di impiegare per fare l’analisi della versione.
Allora come si può ovviare? C’è un modo semplice ed efficace per rendere più accessibile allo studente dislessico il testo latino, per non mandarlo in confusione nel processo altamente impegnativo di decodifica e di analisi. Il testo latino deve divenire in qualche modo “multisensoriale” e “iconizzare” il testo è un semplice ed efficace espediente: ovvero ottenere una sua codificazione cromatica “stabilendo insieme agli allievi una legenda ed evidenziando con colori diversi gli elementi della lingua sui quali intende focalizzare l’attenzione”, ad esempio, per la sintassi si possono distinguere cromaticamente soggetti, verbi, complementi obbligatori e facoltativi eccetera; per la morfologia suffissi, prefissi, flessione nominale e verbale eccetera”, come scrive Michele Daloiso.
Inglese come il latino? Possiamo provare, sempre nel primato e nell’interesse di un ragazzo o ragazza che ha una fragilità in più rispetto ai loro compagni, per i quali, a mio modo di parere, vale la pena fare valorose battaglie. Con buona pace del dottissimo collega.