Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo agli otto decreti attuativi della “Buona Scuola”. Per l’ultima delega che riguarda la revisione del testo unico sulla scuola, pare sia previsto un disegno di legge delega specifico successivo. Molto soddisfatta la ministra Fedeli: “i testi approvati sono il frutto di un lungo lavoro di consultazione e qualificano ulteriormente il sistema di istruzione”. Ovviamente non tutti sono d’accordo, ma sicuramente va riconosciuto che il fuoco di sbarramento dei sindacati è stato molto attutito, soprattutto per le concessioni fatte in tema di mobilità e chiamata diretta dei docenti.
Propongo una breve analisi, con qualche riflessione, sul decreto che riguarda l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di Stato. Molte cose sono cambiate. Mi soffermo sul primo ciclo di istruzione (primaria e secondaria di primo grado) evitando di aggiungere fiumi di inchiostro all’ennesima riforma degli esami di Stato al termine del secondo ciclo (ex maturità) che sarà applicata dal 2019!
Quali le novità per il primo ciclo? Alla primaria e alla secondaria di primo grado cambia la modalità di valutazione: i voti numerici restano, ma saranno espressione dei livelli di apprendimento raggiunti e saranno affiancati da una specifica certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e al termine dell’ex terza media. Viene dato più peso alla valutazione delle competenze in Cittadinanza e Costituzione pur mantenendo la trasversalità dell’insegnamento.
Nella scuola primaria la non ammissione alla classe successiva è prevista solo in casi eccezionali e con decisione unanime dei docenti della classe e l’ammissione è prevista anche in caso di livelli di apprendimento “parzialmente raggiunti, o in via di prima acquisizione”.
Nella secondaria di primo grado, per la promozione bisogna frequentare almeno i tre quarti del monte ore annuale e, come nella primaria, si può essere ammessi alla classe successiva e all’esame finale anche in caso di mancata acquisizione dei necessari livelli di apprendimento in una o più discipline. In entrambi i segmenti formativi le scuole dovranno attivare specifiche strategie di miglioramento e percorsi di supporto per sostenere il raggiungimento dei necessari livelli di apprendimento da parte dei più deboli.
Dal 2018 cambia anche l’esame di terza media che sarà composto da tre scritti e un colloquio orale per accertare le competenze trasversali, comprese quelle di cittadinanza. Nella determinazione della valutazione finale riguardante l’esito dell’esame è assegnato un maggiore peso al percorso scolastico compiuto. Il presidente della commissione sarà il dirigente scolastico della scuola. La prova nazionale standardizzata (test Invalsi) si svolgerà non più durante l’esame ma nel corso dell’anno scolastico, comprenderà la lingua inglese e non influirà più sul voto finale, ma rimane necessaria per essere ammessi all’esame.
Che dire? Nonostante i pareri della settima commissione del Senato e i dubbi sollevati da numerosi pedagogisti si continueranno a mettere in pagella i voti numerici da 1 a 10 confermando l’impostazione della riforma Gelmini del 2009 di rendere più leggibile e immediato ai genitori il giudizio della scuola nei confronti dei figli. Eppure sembrava ormai assodato l’introduzione della valutazione in lettere che secondo molti esprimerebbe compiutamente il concetto di evoluzione delle competenze e delle conoscenze, mentre il voto fotografa in maniera statica una situazione. Secondo il pedagogista Daniele Novara “Ancora una volta si sono affrontati i problemi sotto il profilo dell’architettura istituzionale e sindacale senza andare oltre. I numeri sono arcaici, cristallizzano, vanno nella logica di etichettare l’allievo rispetto a quello che sa o meno fare, senza tener conto della sua evoluzione”.
Per contro molto diffusi sono i pareri favorevoli al mantenimento di voti. In un mondo complesso e in continuo cambiamento sono richieste professionalità sempre più elevate e le conclusioni dei pedagogisti appaiono “romantiche” e, di fatto responsabili di una società piatta e allineata verso il basso. Una scuola che non educa all’etica dell’impegno costruttivo, che non eleva le menti verso traguardi elevati rischia di fallire le sue finalità. Il rischio potrebbe essere quello di assecondare il dilagante lassismo sociale condannando le giovani generazioni all’ignoranza e all’esclusione dalla cittadinanza attiva.
L’apparente rigore nella valutazione è in buona sostanza annullato dal fatto che la non promozione è un evento eccezionale visto che nel decreto si specifica che l’ammissione è prevista anche in caso di livelli di apprendimento “parzialmente raggiunti o in via di acquisizione”. Inoltre, se consideriamo l’obbligo da parte delle scuole di attivare specifiche strategie di miglioramento ed interventi di recupero per gli alunni che si pensa di fermare o che sono promossi senza aver raggiunto i traguardi previsti, la non promozione è praticamente impossibile anche per evitare gli immancabili contenziosi con le famiglie che, quasi sempre, trovano accoglimento da parte dei giudici amministrativi.
A mio parere è indifferente che si usino i voti o le lettere. Invece è opportuno cambiare l’atteggiamento complessivo verso la valutazione, che deve recuperare il suo carattere formativo bandendo le tendenze classificatorie e discriminanti. Bisogna che le scuole definiscano chiaramente cosa si vuole misurare (quali conoscenze, quali competenze, quali comportamenti) e in che modo lo si fa. La provincia autonoma di Trento ha operato un vero cambiamento culturale abolendo la valutazione sommativa alla scuola primaria e secondaria di primo grado, sostituendo i voti con giudizi sintetici personalizzati. Certo, sarebbe opportuna una formazione alla valutazione evolutiva per garantire agli alunni e alle loro famiglie un servizio di qualità che sappia contemplare le nuove conoscenze scientifiche senza nostalgia del passato e senza confondere la valutazione con operazioni di misurazione o docimologiche del tutto insensate (come la media aritmetica dei voti) che a volte possono causare addirittura mortificazioni del soggetto valutato.
La buona notizia è che l’esame di terza media è alleggerito e l’Invalsi non ne fa più parte. Tuttavia, sembra che la prova Invalsi abbia acquisito un maggiore peso. Infatti, resta un requisito necessario per essere ammessi agli esami, si arricchisce della prova di inglese e i risultati saranno comunicati in maniera analitica alle famiglie. Sembra quasi che tutto il processo valutativo al termine del primo ciclo sia contemplato nella prova Invalsi. Staremo a vedere in cosa si concretizzerà la certificazione delle competenze di fine ciclo. Suggerisco di considerare il modello adottato in Trentino dal 2012-13, che fa riferimento alle otto competenze europee per l’apprendimento permanente, semplificate e declinate con descrittori adeguati al termine del primo ciclo, in coerenza con il profilo globale dello studente indicato nei Piani di studio provinciali.
Restano problemi aperti soprattutto nella scuola secondaria di primo grado che rappresenta il buco nero dell’intero sistema scolastico italiano. La questione non può essere affrontata solo con riferimento alla valutazione in numeri o lettere o rendendo più leggero l’esame di Stato. Va fatto un ragionamento complessivo di riforma strutturale dell’intero ciclo scolastico, partendo da quello intermedio che andrebbe potenziato e arricchito con percorsi efficaci di orientamento formativo. Mi chiedo: ha ancora senso in un contesto in evoluzione, ma statico nell’organizzazione, mantenere l’esame di Stato in terza media, quando l’obbligo scolastico è sposato in avanti di due anni? Non sarebbe più ragionevole dare più forza e significato alla certificazione delle competenze in un percorso di più ampio respiro (4 anni)? A me sembra che per inerzia politica si continui a mantenere il vecchio esame di terza media che, ormai, è diventato un adempimento meramente formale. L’unico obiettivo raggiunto è di essere senza nessun costo per lo Stato, visto che anche il presidente delle commissioni sarà il dirigente della scuola. Non sarebbe sgradito un ripensamento complessivo del sistema scuola, visto che secondo l’Ocse nel nostro paese c’è troppa pressione scolastica e gli studenti italiani sono tra i più stressati d’Europa. Ma questa è un’altra storia.