Franco Nembini — è noto — è un dantista sui generis. La sua passione per il sommo poeta nasce a dodici anni sulle scale che portano allo scantinato della drogheria dove lavora, mentre alle undici di sera trasporta su è già pesanti casse d’acqua, e viene folgorato dal ricordo di una terzina dantesca: “Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. “Ma come? — dice a se stesso — Io non trovo le parole per dire quello che provo, e un uomo di settecento anni fa lo racconta con tanta precisione…”.
Da allora l’amore per Dante non lo ha più abbandonato, e quando arriva finalmente a insegnare italiano alle scuole superiori la Divina commedia diventa il suo cavallo di battaglia. Non la Commedia degli eruditi, naturalmente, quella delle mille note a piè di pagina che spaccano il capello in quattro e fanno sì che gli studenti la odino; ma quella del popolo, di quel popolo che a Firenze nel 1373 rivolge una petizione alle autorità perché scelgano “un uomo valente e sapiente” che spieghi pubblicamente “il libro che volgarmente è chiamato El Dante“, affinché “tanto nella fuga dei vizi quanto nell’acquisizione delle virtù quanto nella bella eloquenza possono anche i non grammatici essere informati”.
Così, per quasi vent’anni Dante diventa per Franco e per i suoi alunni una presenza familiare, un compagno di viaggio, un uomo seriamente impegnato con la vita, le sue gioie e suoi dolori, i suoi desideri e le sue sconfitte, un amico con cui si può dialogare, a cui si può chiedere un suggerimento per affrontare quel che nella vita — “il tema della Divina commedia, ripete sempre Franco, non è l’aldilà, ma l’adiqua; parla dell’aldilà per parlare dell’aldiqua” — capita a tutti.
Non pensava, Franco, che le sue lezioni sarebbero uscite dalla cerchia dei suoi studenti. Ma una sera uno dei quattro figli, in vista di un’interrogazione, lo rimprovera bonariamente: “Papà, tu parli di Dante a tutti, ma a noi non hai mai detto niente”. Detto fatto, la domenica seguente si siedono intorno a un tavolo Franco, un paio di figli e un paio di amici dei figli; e di domenica sera in domenica sera la cerchia si allarga, fino a superare le duecento persone. Qualche mamma incuriosita chiede a Franco di spiegare Dante anche a loro: nasce così un primo ciclo di incontri, i cui testi diventano una serie di libri. I libri circolano, cominciano a chiamarlo in giro per l’Italia e non solo. Per farla breve, a un certo punto — siamo ormai al 2012 — approda anche a Roma. Ha successo, le conferenze si moltiplicano, la notizia di questo strano professore bergamasco che riempie chiese e teatri della Capitale arriva fino alle orecchie di Tv2000, che gli affida una serie di trasmissioni, dal successo inaspettato per un format di questo tipo.
E l’eco del successo arriva sulle scrivanie di Garzanti: nasce così In cammino con Dante, in libreria in questi giorni. Sorto dalle trasmissioni dell’anno passato, ne rielabora i testi in un percorso fortemente unitario, che offre al lettore gli esiti più recenti della riflessione di Franco. Rispetto ai libri precedenti c’è infatti molto di nuovo: canti che non aveva mai affrontato, nuove prospettive su altri che ai suoi lettori sono familiari. Quel che non cambia è la prospettiva: proporre Dante come compagno di viaggio per chiunque voglia vivere da uomo l’avventura della vita.