“Accuso e condanno la cultura”. S’intitolava così un fondo di Giovanni Testori apparso il 5 marzo del lontano 1978 sul Corriere della Sera. Il nostro grande drammaturgo interveniva su quello che già allora era il problema dei problemi: i “continui, tragici, seppur talvolta silenziosi suicidi, diretti o indiretti, fisici o morali” dei giovani. Mi è rivenuto in mente quell’articolo leggendo il recente contributo su queste pagine di Luisa Ribolzi con le cui conclusioni (“è indispensabile aiutare i ragazzi a vivere quelle relazioni profonde e significative che sole consentono di diventare veramente adulti e di realizzarsi pienamente”) non posso non essere d’accordo.



Penso però che sia anche urgente, veramente urgente un’accusa e una condanna della cultura al potere, quella che sta distruggendo i giovani e, prima ancora, che ha già distrutto gli adulti. Abbiamo avuto in tutti questi anni (per riprendere proprio l’osservazione con cui Testori concludeva il suo articolo) troppi Edipi che non usano più accecarsi. Su giornali, riviste, radio, televisioni e oggi sulla rete questi Edipi non hanno interrogato non solo la Sfinge, ma nemmeno la loro coscienza e hanno aiutato il dilagare della peste. A loro, in fondo, è importato e importa molto poco, perché intanto crescevano di prestigio e di potere e vedevano crescere anche il conto in banca, garantendosi così una serena vecchiaia.



Questa cultura della morte della ragione, delle ragioni e dei significati, “sradicata e annichilente”, “senza più centri” ha avuto dagli anni Ottanta del secolo scorso ad oggi una cassa di risonanza assicurata da mezzi di diffusione capillare e continua che non si erano mai visti nella storia. Che cosa ci ha proposto? Cosa ha sempre più rapidamente inoculato nelle vene dell’uomo contemporaneo? Sentiamo ancora Testori (anno 1978, ricordiamolo!): “Esaltazione del profitto e dell’oggetto come valori assoluti o, addirittura, religiosi; scatenamento meccanico e cieco del sesso, prima divinizzato, poi mercificato, quindi deturpato e distrutto; sadica cavalcata di violenze astratte e gratuite; destituzione d’ogni valore, d’ogni legge e d’ogni regola, come elementi a priori illibertari e castranti”. L’elenco continua: “Morte dei principi; morte d’ogni segno, d’ogni valore e d’ogni rigore morale; morte di ogni felicità e di ogni luce; morte, infine, della vita medesima”.



C’è da rimanere stupiti per l’attualità e per la carica di profezia che ha l’analisi di Testori. Questa cultura della materia, del consumo, dell’effimero è entrata nella testa di tutti e dirige la testa di tutti. Perché mai, chiedo, occuparsi di “aiutare i ragazzi a vivere relazioni profonde e significative” se ciò che conta davvero oggi è l’esaltazione dell’oggetto come un valore assoluto? Quando un genitore cede alla pressione della cultura dominante e compra al figlio l’ultimo smartphone da un migliaio di euro, educa proprio a quell’esaltazione, a quel “valore”. Quel ragazzo riporrà il proprio cuore (e quindi il proprio tesoro) nell’oggetto e sarà portato a buttare nel cestino valori, ideali, obiettivi ben più alti e più vicini a ciò di cui ha realmente bisogno.

Può una società che è costruita su una grande menzogna autoriformarsi? Possiamo educare i ragazzi ad affrontare la fatica, l’impegno e il dolore se un minuto sì e l’altro pure li rimbecilliamo con l’immagine (davvero ridicola, a guardarla con un minimo di distacco intelligente) del ballerino della Tim? Possiamo realmente sperare di iniziare un corso nuovo senza che gli Edipi finalmente si accechino ammettendo le loro colpe? Ma quando mai le ammetteranno? L’Edipo moderno uccide e ha pure la pretesa di chiamare “progresso” il suo assassinio.

E’ ovvio che la salvezza viene da tutti quegli ambiti che tengono duro, da tutte quelle isole di senso, di fraternità, di impegno, di fede che pure ci sono, che sopravvivono nell’indifferenza generale. Non dovrebbero essere isole, ma modelli affascinanti, onorati, proposti, questi luoghi dove si vivono le relazioni profonde e significative. Ma non lo sono, perché non interessano al potere e alla cultura dominante (di cui sono irriducibili nemici). La loro è una battaglia impari.

“Davanti a tutto questo — scriveva Testori — desidereremmo esautorare la cultura d’ogni suo peso, d’ogni sua autorità e d’ogni suo diritto. Tanto più ora che i mezzi di massa le permettono di diffondere ovunque, anche là dove meno sarebbero richiesti, i suoi colorati ma funesti balletti, quasi fossero la sola e possibile spiegazione della vita, una spiegazione che non conduce a nessuno sbocco”.

Dal 1978 ad oggi abbiamo visto com’è andata. Non è andata bene. Possiamo continuare a desiderare qualcosa di diverso. A combattere per qualcosa di diverso. Ma il nemico è sempre quello.