Operazione consenso. Con l’assunzione di 51mila nuovi docenti, il governo riapre la partita con il mondo della scuola. Dopo una lunga trattativa, il ministero dell’Istruzione ha trovato un accordo con quello dell’Economia per fare una nuova infornata di docenti da assumere a tempo indeterminato. Dopo i 90mila di Renzi, durante l’estate approderanno alla cattedra 15.100 insegnanti che attualmente stanno occupando posti annuali. Questi docenti saranno stabilizzati e dovrebbero passare dal precariato al posto fisso, sulle cattedre in cui prestano servizio, per garantire la continuità didattica. Si tratta in genere di insegnanti abilitati che non sono riusciti a entrare con le assunzioni della Buona Scuola degli scorsi anni.
A questi si aggiungono altri 21mila posti, resi liberi dai pensionamenti e probabilmente, anche se non è ben chiaro, saranno occupati da altri precari delle graduatorie a esaurimento o dai vincitori di concorso che sono stati esclusi da precedenti turni di assunzione. Infine sono stati messi a disposizione altri 16mila posti ancora liberi e in questo caso il Miur sta verificando chi avrà più diritto ad essere incardinato con questo scaglione.
La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha fatto presente che “trasformare ciò che oggi è organico di fatto in organico di diritto, significa scegliere di continuare a investire sulla qualità della formazione dei docenti, mettendo al centro gli interessi di studentesse e studenti, famiglie, insegnanti”. Belle parole, che tuttavia nascondono altre verità. Infatti più che sulla qualità, questa nuova tornata di assunzioni, come quella della Buona Scuola, punta sempre sulla quantità. L’operazione, come sempre, è politica: il governo e i sindacati intendono in questo modo ricucire quel legame con il corpo docente fortemente compromesso dal caos della legge 107 di renziana memoria.
Inoltre emerge il totale fallimento del ministero di viale Trastevere nella gestione del personale e in particolare delle immissioni in ruolo. Il concorso espletato nel 2016 è stato un vero fallimento, con commissioni che hanno falcidiato decine di migliaia di candidati e che ha prodotto un numero molto limitato di vincitori. La montagna ha partorito il topolino, tanto che oggi bisogna ricorrere a nuove assunzioni, per non alimentare nuovamente il precariato, che tra l’altro non è mai uscito dai radar.
Bisognerà vedere in quali regioni e in quali classi di concorso verranno scelti i nuovi docenti. Come è noto, nel Sud i ranghi sono al completo, per effetto della mobilità concessa dal Miur la scorsa estate. Ora questi docenti (o parte di essi perché alcuni di essi potrebbero essere tra gli stabilizzati) dovranno tornare nelle sedi di assunzione nelle regioni settentrionali? Inoltre Ie nuove immissioni in ruolo porteranno a un ulteriore incremento del pendolarismo verso Lombardia, Emilia Romagna o Veneto?
Il problema del personale scolastico con le sue mille variabili è un vero rompicapo, che vede aree con abbondanza di personale e altre dove scarseggia, che vede classi di concorso affollate, mentre in altre emerge una pericolosa mancanza di docenti.
Infine le iscrizioni di quest’anno hanno messo in rilievo un’altra difficoltà: i professionali si stanno svuotando a favore degli istituti tecnologici, dopo la modifica cha ha imposto la struttura quinquennale (prima erano strutturati sui tre della qualifica più i due aggiuntivi per conseguire il diploma). La rigidità del sistema porterà a un’abbondanza di personale nei primi e una carenza nei secondi. Forse solo la Provvidenza può metterci una mano.