A la guerre comme à la guerre! devono avere pensato gli astuti dirigenti della Cgil-Scuola di Roma e provincia, in occasione delle prove Invalsi, alla vigilia dell’uscita del decreto “liberticida” sulla valutazione che le rende di fatto obbligatorie per studenti ed insegnanti. Ed ecco, proclamato nei giorni della somministrazione delle prove, non uno sciopero generale della categoria con il sostegno di conduttori Atac, operatori ecologici Ama e personale di terra e di volo Alitalia, ma una furbesca assemblea in orario di lavoro, su altro tema, si intende. Per andare in soccorso ed apparentarsi apertamente al solito confuso coacervo di recidivi — Cobas, ecc. — di ogni ordine e tipo che affollano telegiornali della sera e giornali dell’indomani, cercando di dare l’impressione di una rivolta generale.



Una stampella alla Enrico Toti lanciata dal ventre molle del Paese, che avrebbe dovuto assestare un colpo mortale ai numeri dei partecipanti e perciò alla credibilità ed alla significatività delle prove stesse. Ma la stampella di Toti è tornata indietro come un boomerang: 97,07 per cento di partecipanti all’obbligo e 98,58 per cento alle superiori. Donde polemiche anche personali e scomposte accuse di falsificazioni, neanche si trattasse dei numeri dei partecipanti agli scioperi.



Il decreto. Si è ancora in attesa della “bollinatura” del Mef, ma si pensa già che il ministro abbia cercato, come da mandato, di coprire a sinistra per quanto possibile. Nell’ipotesi che la massiccia diserzione dal Sì che, secondo alcuni analisti, avrebbe caratterizzato la prestazione referendaria degli insegnanti, sia stata anche dovuta alle prove Invalsi. E non, invece, all’improvvido “buono al merito docente” escogitato da chi negli ultimi 40 anni si è palesemente occupato d’altro che della scuola. Tuttavia sull’Invalsi non ci si è potuti spingere avanti più di tanto. Dagli inizi del secolo infatti l’alternarsi di governi di destra e di sinistra ha potuto rallentare, ma non fermare il suo sviluppo, perché uno stop sarebbe andato troppo contro l’aria del tempo (quando Hegel era ancora di moda si sarebbe detto lo Zeitgeist). Ma sabotaggi e rallentamenti non sono mancati.



E dunque, via le prove Invalsi dall’esame di terza media (sul cui punteggio finale peraltro è dimostrato che influivano pochissimo), per fare contente le associazioni che vedevano messo in discussione il potere totale di docenti e dirigenti sul giudizio degli allievi.

Ma, in cambio, obbligatorietà di somministrazione da parte dei docenti (considerata di qui in avanti attività istituzionale) e studenti (per poter sostenere gli esami) e registrazione obbligatoria dei risultati. Registrare, ma dove? 

Qui viene il bello. Sul retro o in calce del certificato di diploma di terza media e di quinta superiore? Su un foglietto a perdere? Nei segreti archivi delle scuole, cui accedere solo su “apposita domanda”? E cosa? il punteggio preciso di ogni studente che potrebbe essere usato dalle università o dai datori di lavoro pubblici e privati? Ma che meschinità! Ovviamente, un testo, una descrizione. E allora i poveri esperti Invalsi o — Dio guardi — gli infelici insegnanti dovranno analizzare le singole prove del singolo studente per stilare un giudizio ovviamente personalizzato? Oppure si useranno semplicemente i descrittori dei 5-6 livelli in cui i risultati saranno prevedibilmente classificati, come avviene in Pisa? Come faranno le università ed eventuali datori di lavoro pubblici e privati, con archi di punteggi numerici necessariamente molto ampi, a separare il grano dal loglio? Ma era ben questo che si voleva: continuare a permettere lo spaccio di voti taroccati. Pare ci sia chi considera ciò una copertura a sinistra.

Dal punto di vista dell’opportunità politica rimane però un mistero la ragione della censura del sensato passaggio dai 10 pleonastici ai 5 sensati livelli di voto che usano tantissimi paesi europei. E del mancato passaggio dai numeri alle lettere per indicare i livelli, passaggio che aveva ottenuto il plauso delle più politically correct associazioni della categoria. E perché mantenere la possibilità di bocciare non solo alle medie, ma anche alle elementari, quando si sa che in tutto il mondo civilizzato le bocciature stanno sparendo, non per buoniste ubbie pedagogiche, ma per la loro dimostrata inutilità a migliorare quanto sanno bambini e ragazzi?

Sembrerebbe una concessione all’odio del nuovo che alcuni attribuiscono — ahimè forse non del tutto a torto — agli insegnanti. Non un buon viatico per le capacità innovative di un Renzi bis.