Doveva essere un semplice collante in un evento organizzato dal Miur contro il Cyberbullismo, con il lancio del Manifesto della comunicazione non ostile nelle scuole, e invece per il conduttore Paolo Ruffini l’evento si è tramutato in un mezzo incubo, contestato per le sue eccessive “libertà” su parole e parolacce. Miur e “Parole O stili” – la community di oltre 300 tra giornalisti, manager, politici, docenti e comunicatori nata per contrastare il cyberbullismo – hanno lanciato un convegno ieri dove erano collegati in streaming mille scuola di tutta Italia, da Milano a Matera fino a Trieste. Ebbene, proprio da Trieste sono arrivate le prime critiche: collegamento interrotto su richiesta dell’assessore all’Istruzione del Friuli Venezia Giulia, Loredana Panariti, e sostituito subito dopo con un dibattito fra alunni e professori.



Tutto era nato però da un fatto “curioso”: un ragazzo, a cui veniva chiesto di raccontare cosa gli dava fastidio, ha risposto candidamente “i gay”. A quel punto il conduttore e comico livornese replica, «Posso dire che ci sono della parolacce tese ad offendere e altre tese a scherzare e quindi a creare empatia? Posso dire che ci sono dei politici che hanno un linguaggio ben peggiore e non dicono mai ca…o?».

Il dibattito allora si accende, con alcun applausi ma anche qualche borbottio; Ruffini poi si riferisce ancora al ragazzo “sotto attacco”, e prosegue nell’invettiva tra il serio e il faceto, «Non è un giudizio su di te, ma posso dirti che è più volgare uno schiaffo che non dire vaffan…». Il ministro Fedeli interviene dicendo che Ruffini ha molto ragione però, «quando diceva parolacce mi tappavo le orecchie».

Il convegno su valenza e cyberbullismo nelle scuole prende dunque una piega praticamente tutta legata all’intervento di Ruffini, che chiude così il suo “show”: «Non fatemi dire parolacce, perché ci sono questi signori in giacca e cravatta che non vogliono dica parolacce, ma mi sembra assurdo non dirle, perché voi le dite e mettere una distanza tra me e voi mi sembra una str….ata. Chiedo scusa alla suora, al preside e alle istituzioni, al ministro, a tutti, ma fatemi dire le parolacce – ha proseguito Paolo Ruffini -. Fatemele dire. Posso dire un’altra cosa? La volgarità non è dire ca…o, ma la violenza».

Il problema appare non tanto, a questo punto, nella “sincerità” e poco controllo del comico toscano, ma forse nella scelta di un conduttore del genere per un convegno sulle violenze a scuola e sulla corretta comunicazione da insegnare ed educare ai giovani. Non sempre prendere una figura “vicina” a loro si rivela un successo a tutto spiano, come il caso di Ruffini e Miur dimostra abbastanza chiaramente. «Le sue parole mi sembrano fuori luogo – ha precisato l’assessore del Friuli Venezia Giulia – perché se vogliamo fare un passo avanti non possiamo esprimerci in questo modo.

C’è una relazione tra le parole e gli atti – ha sottolineato l’assessora – non tutte le parole portano agli atti, ma tutti gli atti sono preceduti da parole. Anche quest’esperienza farà capire ai nostri ragazzi che le parole sono importanti» Ruffini ha proferito la sua opinione, in toni e modi probabilmente non adeguati, ma ripetiamo è chi ha scelto lui che probabilmente la prossima volta ci penserà qualche momento in più…