Minacciare ripetutamente un alunno di bocciatura o di lasciargli un debito scolastico è un reato penale. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza numero 47543 con cui ha condannato un insegnante per abuso di mezzi di correzione. Il docente è stato accusato anche di aver minacciato più volte lo studente di “brutto voto”, quindi è stato condannato per abuso di mezzi di corruzione. La Cassazione ritiene che il potere dell’insegnante debba «essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante». Gli atteggiamenti del docente, dunque, devono essere proporzionati alla condotta del suo alunno, così da evitare un’afflizione della personalità degli studenti, soprattutto quelli in tenera età. Gli insegnanti dunque devono stare attenti a come parlano e a come lo fanno.



È stato tirato in ballo l’articolo 571 del codice penale, secondo cui tutti i comportamenti valutati come abuso di autorità da parte di chi per ragioni educative deve vigilare e custodire una persona sono considerati un reato. Si apre così la strada a tanti ricorsi. Il reato, che può essere punito con il carcere fino a sei mesi, non è facile da delineare. Si deve travalicare la finalità educativa e il metodo dialogante affinché si configuri. Richiede un comportamento reiterato, orientato all’abuso psicologico. Non è sufficiente la generica indicazione di un rischio, del tipo “Se non studi, ti boccio“, ma una specie di stalking psicologico. E questa circostanza per fortuna si verifica di rado nelle scuole italiane. È evidente, però, che il perimetro di libertà d’azione per l’insegnante si è ridotto di molto. 

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