“Dov’è la vita che abbiamo perso vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perso nel sapere? Dov’è il sapere che abbiamo perso mettendo insieme nozioni?”. Così Thomas Stearns Eliot nei cori de La Rocca. In più di un mio intervento ho sottolineato come occorrerebbe ascoltare qualche volta con più attenzione i poeti, perché, come diceva Hölderlin — un altro di loro — Was bleibt stiften die dichter, cioè quello che resta davvero lo fondano i poeti. Quello che resta, cioè quello che conta, quello che non si perde. In questi ultimi mesi sulla scuola sono state tirate fuori analisi, statistiche, osservazioni spesso molto contraddittorie tra loro e gli esperti prima, i commentatori poi — anche da queste pagine —, gli addetti ai lavori, non ci hanno fatto mancare la loro voce.
Dunque, mesi fa un esercito di professori universitari lancia l’allarme analfabetismo per gli studenti che giungono dalle scuole superiori, con relative alzate di scudi e richiesta di nuova serietà e severità per tutti gli ordini di scuola, perché ormai la scuola sembra fare tutto tranne che preparare nelle competenze specifiche richieste per un serio corso di studi: dove sono i professori di una volta? Cosa si insegna nelle nostre scuole? Non è il caso di tornare a richiedere impegno e serietà che si sono smarriti?
Qualche tempo dopo, roba di questi ultimi giorni, l’Ocse ci fa sapere che gli studenti italiani sono i più stressati in Europa, che l’ansia li attanaglia e che faticano a trovare un equilibrio psicofisico proprio per le difficoltà insormontabili che la scuola presenta loro. E ancora una serie di altrettante levate di scudi, voci alte lanciate contro la strega cattiva che fa perdere il sonno a migliaia di giovani ben disposti che soffocano dentro richieste assurde e inadeguate. Dove sono gli insegnanti capaci di ascoltarli? Cosa si pretende di insegnare nelle nostre scuole? Non sarebbe il caso di rivedere il sistema dei voti che, anche da qui è stato detto, in fondo è sempre un giudizio sui ragazzi?
Mi sembra di essere circondato da autorevoli opinionisti che soffrono tutti della sindrome del tifoso interista, che peraltro, purtroppo, conosco per esperienza personale: un mese campioni, il mese dopo un’altra cosa (che fa rima, ma forse non si può dire). Ma il tifoso è tifoso; qui invece stiamo parlando della scuola, qui stanno parlando esperti, insegnanti, politici, insomma adulti. Ma possono degli adulti cadere in questa sorta di ping-pong tra le stalle e le stelle in cui la scuola e chi ne fa parte viaggia come una pallina impazzita?
E’ qui che torna utile rileggere Eliot, come insegna il professor Stefano Zamagni che, nel suo splendido e prezioso libricino dal titolo Prudenza edito nel 2015 da Il Mulino, ci ricorda quanto sia fondamentale questa virtù, per non perdere tutto ciò che Eliot dice che ormai l’umanità ha perso. Il professore parla dell’imprenditore prudente ricordando Tommaso d’Aquino: “sono parti della prudenza l’eubulia, che riguarda la deliberazione (l’abilità di porre le domande giuste e di trovare i fatti rilevanti), la synesis, che riguarda il giudizio su quanto avviene ordinariamente, e la gnòme, che riguarda il giudizio su cose che esigono un’eccezione alla legge ordinaria”.
Ora io credo che ciò che è necessario all’imprenditore, e che al tifoso certamente manca, sia necessario anche a chi si occupa di scuola: intanto, vogliamo porre le domande giuste? Perché se no dall’Ocse agli studenti ci si perde in un’ubriacatura di dati insignificanti e incapaci di indicare una via. In secondo luogo vogliamo imparare a leggere e interpretare le res novae del contesto in cui si opera, ad acquisire un supplemento di capacità di giudizio per trovare la regola adatta ai casi concreti che nel tempo si presentano? Non guasterebbe, almeno per gli adulti che dovrebbero in qualche modo fornire una modalità esemplare di affrontare la realtà, nel panorama convulso e nella società liquida che più liquida non si può e cambia opinione ogni scatto di lancetta, ritornare a insistere sulla necessità della saggezza che, come insegna Zamagni, altro non è che la prudentia dei latini, cioè providentia che significa “guardare in avanti, vedere lontano”.
Così continua Zamagni: “la prudenza è dunque la capacità di stabilire con sicurezza che cosa si deve fare oppure no, retto criterio per come si deve agire. Tutt’altro che una forma di precauzione a oltranza o cedimento alla meschinità. L’adulto prudente è sempre forte, cioè pronto a impiegare le proprie energie per affrontare gli impedimenti che si oppongono alla buona scelta”. Noi interisti siamo sempre sull’altalena, ma si sa che il tifo è roba che non ha a che vedere con la ragione. Non dovrebbe essere così per chi lavora con i ragazzi: realismo e saggezza, guardarsi in giro, non tremare a ogni vento che soffia, pensare, cioè pesare e tenere quello che conta davvero. Come insegnano i poeti. E gli economisti.