Anche i presidi, ogni tanto, nel loro piccolo si inc…..o.

Sta avendo infatti una notevole eco nazionale la decisione dei presidi italiani, esasperati da centralismo burocratico, responsabilità a non finire (ultima quella del controllo sui vaccini), reggenze in altre scuole, tagli allo stipendio, stress non riconosciuto, ferie non fatte per gestire, durante l’estate, gli organici ballerini.



All’ultimo concorso, tanto per dire, diversi sono stati i vincitori che, dopo poche settimane di servizio nelle nuove scuole, hanno pensato bene di ritornare a fare i docenti. Che senso hanno tutte le responsabilità, per 500 euro in più al mese?

Nel frattempo le reggenze stanno aumentando di anno in anno (è il quarto anno, per me, con due scuole, sapendo che il Brocchi tocca i 2.150 studenti). Tante responsabilità, pochi gli strumenti. Un dirigente è tale nella misura in cui dirige, si fa punto di riferimento, orienta ed è interfaccia con gli enti locali e con l’opinione pubblica. E’ l’unico ad essere valutato, con contratti triennali, per cui, alla sua scadenza, può essere spedito in altra scuola.



Io credo nella valutazione, anzi credo che tutti debbano essere valutati, proprio perché valutatori degli studenti, e tutti, quindi, dovremmo rendere conto, a studenti e famiglie, se facciamo davvero bene il nostro lavoro o se dovremmo prendere un’altra strada. Ci vorrebbero forme di customer. Quante scuole, ad esempio, compilano un “bilancio sociale”?

Non si parla più di “presidi sceriffi” perché si è capito che, alla fin fine, chi ci sta rimettendo (anche come stipendio) è proprio il preside, in questo caos di sistema che non tollera l’etica della responsabilità, cioè la fiducia in chi ha appunto la responsabilità di rispondere ai ragazzi e alle famiglie della bontà o meno di questo servizio. Sempre a fianco dei tanti docenti, Dsga e personale Ata in gamba, ma in difficoltà a districarsi di fronte all’individualismo, al narcisismo e, a volte, in alcuni casi, al disinteresse e alla evidente impreparazione di alcuni.



Conoscenze, abilità e competenze, si diceva un tempo.

Proviamo a misurare, monitorare questi criteri in tutti. Non solo nei presidi, ma anche nei docenti e in tutto il personale. Solo a dire queste cose si rischia di prendersi una lettera di un qualche avvocato chiamato in causa da qualche docente che ha qualcosa da farsi perdonare: non si può, la libertà di insegnamento giustifica tutto.

Se qualcuno non ci crede, lo invito a seguirmi, anche per una sola settimana. Allora si capirebbero tante cose. Quanti tra gli stessi docenti non conoscono le tante variabili della propria scuola? Lo so, non tutti i presidi sono fatti della stessa pasta, non tutti hanno maturato una leadership culturale ed educativa, anzitutto, e non solo organizzativa e gestionale. Dipende da come vengono costruiti i concorsi, cioè dalle forme di selezione.

A poco servono, se non a giustificare gli uffici che li impongono, i monitoraggi continui, le tante e troppe carte che arrivano, che impediscono quel cuore della scuola che è fatto di relazioni, di dialogo, anche di un semplici guardarsi negli occhi, per capire al volo il reale “miglioramento”.

Conoscenze, abilità, competenze, dunque.

Il prossimo concorso per i nuovi presidi, su base regionale, quindi con selezione solitamente dura al nord e lassista al sud, poi con trasferimenti beffa dalle regioni lassiste a quelle tignose, saprà mettere in chiaro non solo alcune conoscenze, ma soprattutto le abilità e le competenze reali?

Per questo motivo, senza dire di più, sarebbe necessario, è necessario creare un forma di circolarità, al di là della nomina del direttore regionale, tra un dirigente e la scuola assegnata, in ragione anche del suo contesto relazionale, oltre che delle competenze richieste. Perché non pensare anche in questo caso ad una sorta di “chiamata diretta”, con Cv dinamico, colloquio, confronto con il territorio tra candidati e consiglio di istituto?

Perché ogni scuola è una “comunità”, inserita in una rete di scuole ed in una “comunità civile” più ampia; e non esiste l’uomo solo al comando, un burocrate che risponda solo agli obiettivi dettati dal suo direttore regionale.