“California dreamin’ / in such a winter day”. Forse qualcuno dei lettori più anziani (diversamente giovani?) si ricorda, cinquant’anni fa, una struggente canzone dei Dik Dik, che suggeriva il contrasto fra un mondo freddo e grigio, di foglie appassite, e il sole della California. Mi è tornata in mente questa canzone leggendo un interessantissimo rapporto sul sistema scolastico in California.
Nel 2005, dalle prove del Naep (la rilevazione degli apprendimenti che il Centro nazionale delle statistiche educative svolge a partire dal 1969) emerse che solo sei stati avevano risultati peggiori della California. Anziché proporre di eliminare i test, le autorità locali chiesero di avere esaurienti informazioni sullo stato della scuola californiana e sugli elementi che possono promuovere o ostacolare un uso efficace delle risorse.
Il progetto, il cui titolo possiamo sbrigativamente ma efficacemente tradurre “veniamo ai fatti” fu ampiamente finanziato da fondazioni private, e l’università di Stanford coordinò per un periodo di 18 mesi un gruppo dei migliori esperti di sistemi formativi, provenienti da 32 istituzioni, con competenze disciplinari e di orientamento politico diversi, ritengo in base all’idea che per fare cambiamenti seri non si avviano consultazioni sulla rete, ma si chiede a persone competenti. L’obiettivo era quello di stabilire una base da cui partire, e gli elementi chiave identificati sono stati il sistema di governo e il finanziamento.
Questa lunga e dettagliata introduzione mi è parsa necessaria perché mi fornisce la possibilità di un confronto con la scuola italiana, dal momento che le osservazioni degli autori sui problemi centrali del sistema californiano sembrano fatte per noi. Le domande da cui partire sono due: che cosa non funziona, e perché, e che cosa si può fare per innescare un processo di miglioramento.
L’attuale assetto organizzativo non consente né di valorizzare gli insegnanti più bravi né di escludere i peggiori; non c’è un adeguato sistema informativo; la distribuzione a pioggia delle risorse è irrazionale, e scoraggia gli eventuali finanziamenti aggiuntivi (ricordo al lettore che stiamo parlando della California, se se lo fosse dimenticato…). Ma aumentare i fondi destinati alla scuola non serve a migliorare la qualità degli apprendimenti, perché quello che conta non è l’entità delle risorse, ma il modo in cui vengono spese. Accrescere le risorse giova ai ragazzi solo se il finanziamento è accompagnato da riforme importanti e sistemiche, tra cui sono da considerare prioritarie la semplificazione della normativa, la flessibilità nell’allocazione delle risorse e l’attribuzione di una maggiore autonomia ai distretti (che negli Stai Uniti gestiscono la scuola, nda) e alle scuole. Lo Stato ha il compito di creare le infrastrutture necessarie a supportare un sistema formativo in grado di migliorare continuamente apprendendo dall’esperienza, e di tenere sotto controllo l’innovazione, per capire che cosa funziona e che cosa no.
Un uso efficace delle risorse passa dal modello di governo del sistema: il problema maggiore è che le scuole sono considerate responsabili della qualità degli apprendimenti dei loro studenti, ma non hanno il potere di disporre delle risorse necessarie a rispondere alla domanda di educazione. Le aree in cui è urgente un cambiamento sono, innanzitutto, la semplificazione della normativa (la “regolazionite” porta all’immobilismo, oltre a richiedere un grande spreco di tempo, perché gli amministratori finiscono con il concentrare i loro sforzi sul seguire alla lettera le norme, piuttosto che sul raggiungere gli obiettivi), poi lo sforzo di formare, selezionare e incentivare buoni insegnanti e buoni dirigenti, e un uso migliore del tempo scuola, specialmente in presenza di situazioni in cui sono concentrati studenti svantaggiati. Gli insegnanti sono fondamentali per la qualità dell’istruzione, e poiché è quasi impossibile liberarsi dai cattivi insegnanti, è fondamentale migliorare il percorso iniziale di formazione e reclutamento, e poi le condizioni di lavoro, dagli eventuali incentivi monetari e di carriera alla formazione in servizio alla possibilità di lavorare in gruppi coesi.
Venendo infine all’uso efficace delle risorse economiche, il modo in cui avviene il finanziamento “è fondamentale per capire il collegamento fra i dollari e i risultati degli studenti”. I finanziamenti devono essere sufficienti a raggiungere gli obiettivi proposti, differenziati per livello, indirizzo e area geografica, trasparenti, flessibili, e devono promuovere l’equità, il che significa che finanziare allo stesso modo scuole e studenti che hanno bisogni diversi non solo è ingiusto, ma non produrrà nessun esito positivo, soprattutto se insieme ai soldi lo stato dà indicazioni vincolanti su come devono essere spesi, e il fatto che scuole finanziate allo stesso modo ottengano risultati anche profondamente diversi attesta che si tratta di un metodo di assegnazione inefficace. E’ sbagliato anche concettualmente cercare di individuare un’unica soluzione ottimale: vanno prese in considerazione le proposte che rispondono al maggior numero dei requisiti indicati (ricordo ancora al sempre più paziente lettore che non si sta parlando dell’Italia).
A cinque anni dalla pubblicazione del rapporto, nel 2012, un più ristretto gruppo di ricerca ha esaminato che cosa era successo nel frattempo e la coordinatrice, Susanna Loeb, mi ha detto che è in corso una verifica dopo ulteriori cinque anni. Non mi risulta che in Italia siano state fatte valutazioni delle politiche educative sul medio-lungo periodo, l’unico che può fornire dati significativi (chi dicesse che non sono state fatte valutazioni in assoluto ha una parte di ragione, ma è sicuramente un pignolo).
Di questo secondo rapporto mi limito a segnalare che la realizzazione di alcuni miglioramenti è stata ostacolata dalla crisi economica: è stato avviato un organico sistema informativo, Calpads, che raccoglie dati longitudinali sugli studenti, sia demografici che relativi all’esperienza scolastica, simile all’Anagrafe Nazionale degli Studenti. La proposta di un finanziamento ponderato degli studenti ha portato nel 2013 all’istituzione della Local Control Funding Formula (Lcff), che modifica l’intero sistema di finanziamento della California, il modo in cui vengono misurati i risultati e il supporto che le autorità locali ricevono per sviluppare il potenziale di tutti i ragazzi. In linea di massima, il finanziamento è composto da una quota base uguale per tutti, calcolata in base alla classe frequentata, integrata da un finanziamento aggiuntivo per le classi 0/3 e 9/12, per i ragazzi disabili, stranieri o provenienti da famiglie svantaggiate e prevede integrazioni per le scuole che in base al nuovo sistema hanno visto diminuire i propri finanziamenti.
Visto che mi sono limitata ad un riassunto (beh, magari qualche inciso personale me lo sono concessa) lascerò agli autori del rapporto anche la conclusione: “non c’è una soluzione miracolosa al problema del finanziamento e del governo della scuola, anche perché in campo educativo le soluzioni miracolose sono rare. Andare a scuola implica interazioni complesse fra molte persone, gli studenti arrivano con bisogni diversi e spesso di difficile soluzione, le richieste degli studenti, dell’economia e della società sono in continua evoluzione. Una risposta unica non c’è, ma ci sono indicazioni chiare per migliorare… Alcuni cambiamenti sono più facili di altri, o più attraenti, perché richiedono meno cambiamenti fondamentali. Ma limitarsi a pochi e piccoli obiettivi, ignorando il resto, molto probabilmente gioverà a ben poco”.