Da qualche parte nel passato si annida la grande svolta avvenuta a scuola dal rosa al marrone. Evidentemente si vuole evitare di dare ai bambini una visione “rosea” del mondo, fatta di improbabili finali lieti delle favole in cui tutti sono felici e contenti, di paesaggi idilliaci in cui i difetti non si vedono e di storie in cui i buoni infallibilmente vincono. Mentre in pubblicità persistono le fattorie del Mulino bianco e le famiglie sorridenti (sono quelle che fanno vendere le merendine), a scuola no: i bambini devono diventare “piccoli cittadini del mondo”, conoscere i pericoli e i mali, così saranno attrezzati in modo critico.  



Recentemente, in un gruppo di lavoro di Diesse sulla comprensione del testo espositivo, in cui ogni insegnante ha prodotto testi sui quali ha lavorato in classe, mi ha colpito il contenuto di molti di essi. Solo due esempi.

Esempio 1 (quarta elementare). “Gli ambienti di pianura sono ricchi di insediamenti umani, vie di comunicazione e strutture industriali, tutti fonte di molti problemi di carattere ambientale. l fumi delle fabbriche e delle centrali elettriche, ma anche le emissioni dei veicoli a motore, provocano inquinamento dell’aria. Esso danneggia sia l’ambiente sia la salute, visto che i gas tossici e le polveri sottili penetrando nei polmoni sono causa di malattie croniche e di tumori. Un altro problema deriva dai rifiuti urbani e industriali, spesso trasferiti in discariche e poi ricoperti di terra. In questo modo, però, finiscono per inquinare il suolo e le falde acquifere. Anche l’agricoltura comporta problemi di inquinamento. Esso deriva dai molti composti chimici utilizzati per le colture, come antiparassitari e concimi che, distribuiti largamente sui campi, penetrano nel terreno e vanno a contaminare le falde acquifere. Molto inquinanti sono anche i liquami prodotti dagli allevamenti bovini e suini che, attraverso i fiumi, giungono al mare, favorendo l’eccessiva crescita delle alghe (eutrofizzazione)”.



Esempio 2 (prima media). “I bambini italiani mangiano troppo e male, per questo stanno diventando i più grassi d’Europa. Si calcola che il 35% dei bambini in età scolare, soprattutto al centro e al sud della penisola, sia in sovrappeso o addirittura obeso. L’allarme era già contenuto nel Rapporto Unicef 2005 sulla condizione dell’infanzia nel mondo. E’ un fenomeno preoccupante, perché i bambini grassi di oggi saranno gli adulti obesi di domani. Secondo il medico nutrizionista Francesco Barca, la causa principale non è l’eccesso di alimentazione, ma la scarsa attività fisica: ‘I bambini ingrassano perché introducono più calorie di quelle che consumano, infatti si muovono poco e, spesso, la ginnastica che fanno in palestre affollate è più un’illusione di movimento che non un’attività fisica vera e propria’”.



Una presenza così sistematica di toni cupi nei libri di scuola risponde certo a una scelta antropologica comune. In La testa ben fatta (2000) Edgar Morin prevedeva una nuova cultura antropocentrica planetaria fatta di conoscenza dell’uomo e della sua condizione sulla Terra. La scuola secondo lui deve mettere gli studenti in condizione di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali, preparare le menti a rispondere alle sfide che pongono alla conoscenza umana la crescente complessità dei problemi e la scommessa per un mondo migliore. La matrice è genericamente “progressista”: il buon cittadino è consapevole e si oppone ai mali del mondo, spingendo i governi a legiferare conseguentemente e impegnandosi anche personalmente nella lotta per i valori. Da qui la necessità di diffondere fra i giovani una coscienza dei “problemi” (tutti di difficile soluzione già per adulti e governi!): l’inquinamento, la desertificazione, la fame nel mondo, i rifiuti, l’effetto serra e i cambiamenti climatici … temi ampiamente rappresentati in sussidiari e manuali di elementari e medie, magari senza ricordare in nessuna pagina del sussidiario i risultati ampiamente positivi della lotta alla fame o delle vaccinazioni a tappeto.

La conseguenza è che i messaggi sistematicamente rivolti ai ragazzi di fatto incutono loro paura e probabilmente li spingono alla chiusura in difesa, non all’intraprendenza fiduciosa e realistica: “pensa ai mali che ti aspettano!”, in mezzo ai quali oltretutto non compare un solo adulto che possa trarti in salvo, in cui la speranza si appoggia non sul presente ma sul “dover essere” morale. Sono messaggi ai quali i piccoli vengono massicciamente esposti, come a radiazioni di cui non si valuta a pieno la portata teratogena.  

Ben diversa dal “mondo in rosa” è la terapia della bellezza: in centri di accoglienza come “La Cometa” di Como o “L’imprevisto” di Pesaro, dove arrivano ragazzi con difficoltà conclamate, fa parte della cura l’accoglienza in un ambiente volutamente, palesemente bello. Il messaggio che arriva ai ragazzi è positivo in un senso non meramente estetico (di un’estetica ridotta): “Ti stimo, sei degno del meglio, sei fatto per il bene, spero per te e per la tua vita che vinca il vero”. In giro peraltro non si vede una cartaccia o un graffio, perché il bello convince e attrae. In questi posti il lavoro, la formazione, partono da una visione sfidante del mondo: c’è qualcosa di interessante cui applicare le proprie energie. Ogni ragazzo alza gli occhi dal cellulare se colpito da qualcosa di più grande capace di attrarre il suo cuore, una parola vera in uno scrittore — come accade ai Colloqui Fiorentini di Diesse Firenze —, o un’esperienza di libertà più grande del fare da sé. Giacché il “rosa” è solo la versione spenta del rosso fuoco di cui ciascuno ha bisogno per crescere: vale la pena vivere per sapere che sono accolto nel mondo da una presenza che mi ha a cuore, che per questo non mi risparmia la fatica, ma che non mi lascia solo. 

Quindi ai ragazzi va proposto il bene, il bello e il vero, proprio perché è l’esperienza che fa crescere la capacità anche di affrontare il male. Fra le qualità del character che promuovono competenza proposte da J. Heckman, di cui ha parlato recentemente Giorgio Vittadini, ci sono anche l’energia, la fiducia e l’apertura favorevole al mondo, perché mettono in moto la persona. Come aveva ben capito quel grande educatore che è stato don Luigi Giussani, il punto è sempre lì: se il bene incontrato nella realtà è utopia illusoria (rosa) — e quindi tanto vale smontarla subito con dosi massicce di “realismo” —, oppure è segno provvisorio di un compimento possibile (rosso fuoco) che dà l’energia di perseguirlo pur nei limiti delle cose.