Sono iniziati gli esami conclusivi del primo ciclo che per l’ultima volta si svolgeranno nella forma che hanno avuto negli ultimi anni: prova scritta di italiano, inglese, matematica, seconda lingua comunitaria, prova Invalsi e colloquio orale. Cinque scritti in cinque giorni e un’orale poco tempo dopo; peggio della maturità. Oltre all’articolazione delle prove, tra i punti critici non secondario è il fatto che la valutazione finale tiene conto solo in minima parte del percorso scolastico: il voto di idoneità, con cui si sintetizza il lavoro dell’alunno nel triennio, entra infatti nel calcolo del voto finale con lo stesso peso di ciascuno dei voti delle prove d’esame.



Mettere mano all’esame era ormai necessario, del resto non è mai stato riformato sostanzialmente, nonostante la scuola secondaria di primo grado abbia attraversato un percorso decennale di riforma a partire dal 2003. Semplicemente si è aggiunta prima la prova scritta della seconda lingua comunitaria e in seguito la prova nazionale Invalsi. Almeno così nella prassi.



Dal prossimo anno si cambia, così prevede uno dei decreti della Buona Scuola. Le prove Invalsi escono dall’esame, con buona pace di tutti. Finiscono così le infinite polemiche sull’opportunità o meno della sua presenza e del suo peso sulla valutazione finale. Le prove standardizzate servono primariamente a valutare il sistema di istruzione e non gli studenti, hanno sostenuto i contrari alle prove Invalsi nell’esame, mentre i favorevoli hanno osservato che non è indifferente avere una prova confrontabile a livello nazionale se non altro per avere riferimenti affidabili con cui leggere quanto avviene nelle diverse situazioni territoriali: lo scorso anno per esempio in Puglia il 6 per cento degli alunni ha conseguito la valutazione massima di 10 e lode contro il 2,2 per cento del Trentino (qui i dati ufficiali) mentre i dati Invalsi hanno segno opposto. Dal prossimo anno la prova nazionale avrà luogo entro il mese di aprile e la partecipazione sarà requisito di ammissione all’esame. 



Resta la prova scritta di italiano, la prova scritta “relativa alle competenze logico matematiche”, mentre per le lingue straniere la novità sarà la presenza di un’unica prova “articolata in una sezione per ciascuna delle lingue studiate”. 

Anche per il colloquio non sembrano esserci novità. Cambia invece la modalità di formulazione del voto finale: sarà la media arrotondata all’unità superiore per frazione pari o superiori a 0,5, tra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove scritte e del colloquio. In altri termini il percorso scolastico e l’esame, considerato complessivamente attraverso la media dei voti di tutte le sue prove, entrano con lo stesso peso nella determinazione della valutazione finale. Questo sommariamente, senza pretesa di completezza; ci sarà tempo per dirigenti e docenti di prepararsi alle novità lungo tutto il prossimo anno scolastico, per una volta, visto che a volte le novità sono state annunciate a fine maggio. Da sottolineare il fatto che, prima di tutto, l’esame resta, decisione saggia a mio avviso. 

Come ogni altro momento non ordinario della vita della scuola, l’esame è un’occasione in cui si rimescolano le carte, dove può emergere il ragazzino che per tre anni è passato inosservato con una maturità inaspettata o la ragazzina sempre pronta può farsi tradire dall’emozione. Perché il valore dell’esame non è da cercare nel livello da raggiungere, nel sapere da esibire, nell’abilità da esercitare quanto piuttosto nella risposta che i ragazzi mettono in campo. Anche se per tanti sembra diventato un momento poco significativo, in cui non si fa sul serio, solo una farsa superficiale o ipocrita, l’esame per i ragazzi è pur sempre un mettersi alla prova, un’opportunità di scoprirsi capaci. Capaci di organizzare il proprio tempo di lavoro, di tenere la concentrazione  più a lungo di quanto creduto, di saper studiare, anche se per tre anni non l’hanno mai fatto, dimostrando che i richiami e i suggerimenti dei prof non sono stati inutili, carsicamente riemergono in tempi e modi che non sono quelli attesi dagli insegnanti. Questo è quanto racconta l’esperienza degli esami quando viene accolta come un’occasione in cui gli studenti, se gliene lasciamo la possibilità, sono capaci di sorprenderci.