Uno degli autori considerati tra i grandi del Novecento sebbene meno popolari rispetto ad altri nei programmi scolastici, è Giorgio Caproni. Fino ad oggi, primo giorno della Maturità 2017, in molti ignoravano la sua esistenza e le sue eccellenti opere. Eppure, proprio lui ha dominato l’analisi del testo della prima prova scritta che ha impegnato i maturandi nella mattinata odierna. Il tarlo della letteratura e della poesia coinvolse Caproni sin dalla sua giovinezza, quando cioè frequentava le scuole magistrali. E’ qui che iniziò a scrivere poesie e sonetti che poi inviava a varie riviste genovesi. Tra le sue passioni anche la musica, arte elevata che tuttavia non riuscì a seguire come avrebbe voluto. Rinunciare a lei per motivi prettamente economici provocò nel giovane Caproni una grande sofferenza. Ma il legame in lui è sempre stato molto solido, come testimoniato dal fatto che alcune poesie che fecero parte dei lavori preparatori della raccolta postuma Res amissa furono trascritte proprio sui righi di uno spartito musicale.
Il suo libro forse più popolare fu “Il seme del piangere”, nel quale sono contenuti i “Versi livornesi” al centro dei quali i temi erano spesso ricorrenti: la madre, Genova, il linguaggio e Livorno. Interessante la definizione che di lui fece il poeta Carlo Bo, uno dei suoi primi critici, il quale lo definì “poeta del sole, della luce e del mare” (Aggiornamento di Emanuela Longo) Clicca qui per lo speciale Maturità 2017 – Analisi del testo (tip.A)
Da tipica famiglia livornese, il poeta Giorgio Caproni a cui è dedicato una delle tracce della prova di esame di oggi, proveniva da famiglia “atea, massone e di bestemmiatori” come la definisce lui stesso. Dopo la fine della prima guerra mondiale, rimasto il padre senza lavoro, si trasferiscono a Genova: così il futuro poeta descrive l’addio alla città natale: “Mentre l’ultima bandiera rossa s’ammainava in fiamme in via del Corallo, o lungo via del Riseccoli [oggi via Palestro] e viale Emilio Zola pieno di ghiande e di polvere, in carrozza me ne andai per sempre alla ferrovia. E da quel giorno Livorno non la rividi più, vidi per l’ultima volta dal finestrino i prati rigati dai sentieri fra il trifoglio quasi neri degli Archi e il camposanto dei Lupi, dove erano sotterra i miei nonni”. Il suo esordio letterario è nel 1936, la sua è una forma poetica particolare che usa lo spezzamento della metrica, per descrivere un senso di impossibilità di esprimersi di fronte al tempo che passa.
Le sue poesie hanno comunque temi precisi, come la città di Genova, la madre, Livorno, il viaggio) caratterizzate da perizia metrico-stilistica. Con il passare degli anni questo senso di una realtà che sfugge all’interpretazione si esprime con la tecnica del monoblocco, poesia che non sono divise come normalmente accade in strofe. Nelle sue ultime poesie si dedica al linguaggio, che definisce strumento insufficiente e ingannevole, impossibilitato a descrivere la realtà. (agg. di Paolo Vites)
Anche se meno noto rispetto ad altri, Giorgio Caproni è stato sicuramente uno degli esponenti più importanti della letteratura italiana del Novecento: dopo aver trascorso i primi anni della sua vita a Livorno (dove nacque il 7 gennaio 1921), dopo la fine della Prima Guerra Mondiale si trasferì con la famiglia a Genova dove il padre aveva trovato lavoro presso una conserveria: a 18 anni smise di studiare il violino e si dedicò anima e corpo alla scrittura che invece gli dava ben più gratificazioni, tanto che nel 1932 cominciò a comporre i suoi primi versetti poetici. Col passare degli anni arrivarono anche le prime raccolte “Come un’allegoria” e “Ballo a Fontanigorda”, nel 1939 prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale si trasferì definitivamente a Roma dove avrebbe trascorso il resto della sua vita, fatta eccezione per il periodo in cui venne chiamato a combattere al fronte.
In un primo momento si schierò a favore del regime ma decise poi di schierarsi con la Resistenza dopo l’8 settembre 1943, nel corso degli anni pubblicò in una raccolta le poesie legate alla sua esperienza nella guerra. Divenne un maestro elementare ed esercitò la professione per parecchi anni, morì il 22 gennaio 1990 nella Capitale dopo aver compiuto da poco 78 anni, venne sepolto nel cimitero di Loco di Rovegno dove riposa accanto alla moglie. (agg. di Stefano Belli)
È di Giorgio Caproni il testo protagonista della prima prova della maturità 2017 e la sua “Versicoli quasi ecologici”, come si evince dal titolo stesso, si presta molto al tema del rispetto dell’ambiente, molto attuale in questi tempi in cui l’accordo di Parigi sul clima è messo in seria discussione. Giorgio Caproni è nato a Livorno nel 1912 ed è morto a Roma nel 1990. Nella sua gioventù studiò anche musica, riuscendosi a diplomare in composizione. Tuttavia dovette presto abbandonare gli studi musicali per lavorare come fattorino, dato che la sua famiglia, trasferitasi a Genova, era in condizioni economiche difficili. Fu comunque nel periodo in cui studiava violino che imbatté nella poesia. A vent’anni inviò i suoi primi versi ad Adriano Grande, direttore della rivista genovese “Circoli”, che però li rifiutò. Nel 1935, dopo il servizio militare, si diplomò alle magistrali.
Iniziò poi a insegnare in una scuola elementare a Rovegno. Si trasferì poi a Roma e continuò a coltivare la sua passione per la poesia, nonostante avesse avuto la tentazione di smettere dopo la morte della sua promessa sposa, Olga Franzoni. Con gli anni divenne sempre più famoso e nella sua vita ricevette diversi riconoscimenti e le sue poesie vennero tradotte anche in francese. Tra l’altro lui stesso si occupò di tradurre opere francesi, come “I fiori del male” di Charles Baudelaire.
Tornando alla poesia che è oggetto dell’analisi del testo, essa fa parte di “Res amissa”, una raccolta postuma del 1991. Si tratta quindi di un testo scritto in età avanzata da Caproni e non si può non notare una critica allo sfruttamento delle risorse naturali nei versi: “E chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere / del lavoro”. Importante anche la sottolineatura dell’importanza dell’ambiente per l’uomo, ma soprattutto, nella parte finale della poesia, la critica all’attività poco rispettosa della natura, tanto che il poeta dice che “l’amore / finisce dove finisce l’erba / e l’acqua muore”. E chi resta in un “paese guasto”, sospira delle parole forti quali “«Come / potrebbe tornare a esser bella, / scomparso l’uomo, la terra»”.