E’ tempo della terza prova. Quella affidata alle commissioni d’esame. Quella destinata a scomparire dal 2019. Quella che fa molto discutere, per il rigore non sempre impeccabile con cui viene svolta. Vengono misurate tutte le discipline non valutate nella prima e seconda prova d’esame, tra cui per fare solo alcuni esempi, latino o greco, fisica, scienze, storia, filosofia, storia dell’arte, una o due lingue straniere, diritto, economia politica, sistemi, elettronica e altro ancora.



A seconda degli indirizzi, sono 4 o 5 e in alcune scuole gli studenti sanno con precisione quali siano, mentre in altri la rosa è più ampia. Anche la modalità della prova è scelta dalle commissioni: quesiti a risposta multipla (un quesito e 4 risposte, di cui solo una valida), quesiti a risposta aperta (una decina di quesiti con 2/3 righe di risposta), trattazione sintetica di argomento (almeno 3 quesiti con 10/15 righe per rispondere. Il documento di classe riporta le tipologie su cui si sono esercitati gli studenti nel corso dell’anno e in genere gli allievi conoscono il tipo di prova prescelto, senza ulteriori sorprese.



Dal 2001, anno del debutto, si è notevolmente affievolita la tipologia delle risposte a quiz, per il fatto che è molto difficile impedire che gli studenti si passino le risposte, in quanto il meccanismo della battaglia navale (4,3 o quarantatré che significa 4 quesito 3 risposta, o 16b se si usano le lettere) è di semplice formulazione e adatto al suggerimento a bassa voce. Ora prevale la trattazione sintetica con la media delle 10/15 righe, che permette di valutare anche la capacità argomentativa, oltre che quella sui contenuti.

La terza prova sfugge al controllo ministeriale e si adatta alle effettive caratteristiche della classe, per cui da una parte è più adeguata alla realtà scolastica locale, ma dall’altra rivela come sia scarsa l’efficacia del sistema d’istruzione, che in genere con le prime due prove vuol dare un’alta immagine di sé. Alla prova dei fatti, se si esaminano i tipi di prova proposti, si vede come i quesiti mirino al raggiungimento degli obiettivi minimi, per non mettere in difficoltà la maggior parte dei candidati. La terza prova rivela dunque, tra le righe, la cattiva coscienza del sistema scolastico italiano. Ecco perché è stata eliminata.



E gli studenti? In genere non sono contenti, non perché sotto esame, ma per il fatto che dopo la seconda prova sono sottoposti a un tour de force del ripasso. Tre giorni per 4/5 discipline. Un doppione della prova orale, che per i primi dell’elenco si tiene entro due giorni dalla terza, mentre per gli altri possono passare anche due settimane. Come ripassare? Non in modo analitico, ma per argomenti, com’è formulata la prova. Per individuarli, basta scorrere il programma della disciplina, ricordarsi le indicazioni di metodo e gli argomenti su cui ha puntato di più il docente durante l’anno scolastico. Ecco il segreto della terza prova. In più un po’ di sintesi non fa male. La risposta non può essere dispersiva, ma deve puntare al nocciolo della questione: nelle prime righe si risponde e poi, con i particolari, ma solo quelli necessari, si svolge il ragionamento. Attenzione, perché si fa presto a riempire 10/15 righe. Ad alcuni può capitare la vertigine della pagina bianca, il “nulla alle mie spalle” per dirla con Montale. Niente paura. Si comincia da quello che si sa. Infatti è bene cominciare dalle discipline su cui si è più sicuri. Passa il tempo, qualcosa si scrive e l’ansia si attenua.

Quest’esame costa molto e produce poco. Certo non aiuta a valutare l’effettiva preparazione, perché altrimenti le università non avrebbero inserito il numero chiuso e i test di ammissione. E poi il 99,5 di promossi dirà pur qualcosa: o gli studenti italiani sono tutti geni o non funziona la misurazione. Si realizza però il controllo statale sull’istruzione, grazie al moloch del valore legale del titolo di studio. Niente paura: ora, con l’abolizione della terza prova e l’introduzione curricolare delle prove Invalsi in quinta, aumenteranno ulteriormente la statalizzazione e il centralismo, come è già accaduto in molti settori dell’amministrazione pubblica. 

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