In questo momento migliaia di giovani di tutta Italia, da Milano a Palermo — dove ancora si corregge con 45°C —, attendono o hanno appena appreso i risultati delle tre prove scritte dell’esame di Stato del secondo ciclo di istruzione: italiano, disciplina di indirizzo e terza prova per un massimo di 15 punti a prova. C’è chi placa l’ansia dell’attesa per il colloquio orale seguendo i mille consigli più contraddittori, dalla dieta alle vaschette di gelato, dalle ore di sonno alle borracce di caffè notturne. Tutti, proprio tutti, stanno studiando. Con quale attesa e desiderio?
Le risposte possono essere molteplici: la più ovvia di tutte è il desiderio di finirla, di uscire dalla scuola e passare ad un altro capitolo della propria vita. Per poi dire, come mi accadde di sentire una volta ad un diplomando che aveva appena terminato il colloquio: “ora posso svuotarmi la testa di tutte queste nozioni inutili!”. Eppure tutti sono consapevoli che il colloquio è un momento importante, al di là del fatto che segni la conclusione di un lungo cammino. E’, infatti, nel bene e nel male, il momento in cui il candidato esprimerà il senso che per lui ha assunto questo cammino.
Nozioni inutili, oppure? Oppure scoperta di sé, di ciò che ha colpito maggiormente i propri interessi e che si desidera comunicare, affermare, esplorare con il proprio percorso di esordio davanti ad una commissione di docenti che sarà un interlocutore tanto attento quanto autorevole.
Vorrei dunque invitare i ragazzi che stanno attendendo questo momento a prepararsi con la consapevolezza di aver l’occasione di dire chi sono, a cosa tengono, quale “pane” è lievitato con tutta la farina che hanno setacciato in questi anni e come li nutre per un futuro pieno di progetti e scoperte. Compimento. Questa è la parola più bella. Compimento è realizzazione di sé, secondo il desiderio che ci costituisce. Che possiate fare questa esperienza. E dico anche: fidatevi del confronto tra insegnanti esterni ed interni, poiché i primi riescono spesso a valorizzare ciò che non conoscono, più di quanto secondi non temano le défaillances di coloro che hanno imparato a conoscere e con cui hanno lottato negli anni per trarre il meglio.
Speriamo che anche chi si è arrovellato sul nuovo esame di Stato non abbia dimenticato che questo è innanzi tutto la maturità: la possibilità che ha un “io”, fiorito nell’incontro con i propri insegnanti, con i compagni, con la realtà e le ipotesi di significato che ad essa hanno attribuito filosofi, storici, economisti, poeti, matematici, di dire finalmente chi è.