Caro ragazzo del ’98, è la tua volta, e sarà l’unica volta. Sarà il tuo esame, né molto importante, né poco importante. E’ una tappa e bisogna portarle rispetto. Viviamo, tu ed io, in tempi in cui tutto, per dirla con le parole di una poesia che certamente conosci, “pare sempre in una giornata di una decomposta fiera”. E così dovremo fare una cosa che sta per non esserci più, per non essere più così, forse, chissà… Impegniamo costantemente le nostre energie in cose che per i potenti e i sapienti sono almeno un po’ sbagliate, sono almeno in parte da buttare; come vivere in una discarica, insomma. Cioè al cuore del nostro tempo, se hanno ragione Calvino, e Bauman, e anche il Papa. Che hanno capito benissimo che questo è il modo in cui oggi gli uomini vengono spossessati di sé, del loro cuore e dei loro amori: dimostrando che ciò che sei e fai non serve, è già indietro, è già sul limitare del nulla, già quasi rifiuto.
Ebbene, non è vero. L’esame che farai è bello e pieno di senso. Ci sarai tu, che sei il futuro vero, non quello delle chiacchiere deprimenti e losche. Il futuro che potenti e sapienti vogliono convincerti che ti stia sfuggendo, perché ti devi tenere l’esame vecchio e ti perdi quello luccicante di novità che stanno cucinando nelle segrete stanze. Ma che ne sanno loro, del futuro? Il futuro sei tu. Nessuno te lo ruberà se non ti lascerai rubare te stesso. Ci sei tu, nel cuore del nostro tempo.
Se dovrò fare anch’io l’esame, lo farò con l’entusiasmo di incontrare te, con cui condividere tante cose che amo e che certamente anche tu hai imparato almeno un po’ ad amare, che vengono dal passato ma che in bocca tua saranno nuove, e diverse da come sarebbero in bocca a chiunque altro; perché nessuno, nel suo rapido passaggio, lascia l’essere esattamente come prima. A me l’ha ricordato Havel, uno che di futuri sbandierati contro i quali difendere l’uomo se ne intendeva, e che il futuro vero l’ha incontestabilmente costruito.
Ho voglia di incontrarti, anche in questa decomposta fiera; ho voglia di incontrare l’oggi in te, per vedere che è bello e pieno di senso; ho voglia di capire meglio da te come vivono ancora le cose che amo. Voglio che per te l’esame sia un evento, pieno della linfa della tua giovinezza. Un rito, anche, perché ne abbiamo bisogno, perché abbiamo diritto alla solennità. Perché chi ci distrugge tutti i riti ci impoverisce. Com’era quel passo del Vangelo? Giuda si lamentava dei soldi sprecati per l’unguento, per uno stupido rito, mentre si sarebbero potuti dare ai poveri. “Diceva così non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro”.
Ecco, ragazzo del ’98, secondo me i soldi spesi per l’esame non sono sprecati, sono per solennizzare la tua giovinezza dispiegata, per ripagare la tua fatica ben impiegata, per venerare i nostri padri, che potranno vivere solo attraverso di te.