Gli esami conclusivi del primo ciclo di istruzione sono terminati quasi in tutte le scuole secondarie di primo grado. È tempo di bilanci. Cosa insegna alle nostre vite questa esperienza? 

Durante i giorni dei colloqui orali bisognerebbe avere una macchina fotografica per immortalare l’espressione che si disegna sui volti dei ragazzi nel momento in cui si sentono dire da un professore: “complimenti, ora puoi andare, sei in vacanza!”. In quell’istante un sorriso delicato e un po’ incredulo fa capolino, accompagnato da un sospiro misto di sollievo e appagamento. Chissà quale pensiero davvero li accompagna! I volti esprimono una sensazione di liberazione. Dobbiamo sperare che non sia un sentirsi “liberi da” qualcosa, ma, piuttosto, sia la soddisfazione di sentirsi “liberi per” tendersi verso il futuro.



Non è affatto scontato che l’esame sia un’esperienza positiva. Per quanti è un traguardo da conquistare per porre la parola fine o emanciparsi dalle fatiche scolastiche? Lo si capisce quando si sentono amici o genitori asserire con una smorfia: “ora puoi buttare tutto”, “adesso bruciamo tutto”, “finalmente possiamo eliminare tutto”. Dentro queste affermazioni c’è il fallimento della scuola. Al termine di un ciclo scolastico i ragazzi dovrebbero trovarsi ad un punto di partenza, al gate d’imbarco per il volo verso l’avvenire, all’inizio del viaggio per diventare grandi. 



Se ci pensiamo bene, l’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione è la prima grande prova che uno studente si trova ad affrontare. Siamo soliti enfatizzare la notte prima degli esami pensando all’esame di maturità, ma ci siamo mai chiesti seriamente quale significato può avere per un quattordicenne il primo vero esame? Fra spavaldi, menefreghisti, sicuri di sé e coraggiosi, spiccano gli agitati e gli ansiosi. Nella società liquida, dell’incertezza e delle paure, l’esame di terza media rischia di essere letto e vissuto come un momento decisivo in cui giocarsi tutto, dove gli errori si pagano e il giudizio è ratifica dell’identità. Quest’ansia da prestazione è il sintomo di una società che punta all’eccellenza e chiede ai giovani di dimostrare chi sono attraverso ciò che fanno, in nome di un’assurda coincidenza fra il voto che meritano e la loro persona. Considerare decisivi i giudizi e le valutazioni è l’errore che porta i genitori a porsi come avvocati difensori dei propri figli, i docenti a temere il lavoro pluridisciplinare in équipe e il confronto con gli esperti, i ragazzi a sviluppare fragilità e ad avere timore delle sfide. 



In che modo vengono introdotti all’esame gli studenti? Diamo loro gli strumenti per disporsi con animo sereno ad affrontare le prove, oppure dal primo giorno della terza media ricordiamo senza sosta che ci saranno gli esami, rimarcando unicamente i doveri e l’impegno necessari? Ci limitiamo a sottolineare che “ci siamo passati tutti e non è mai morto nessuno” o li accompagniamo ad affrontare la realtà insegnando che tutto è occasione per imparare? Non si tratta di privare le nuove generazioni della fatica, come spesso si rischia di fare, piuttosto è un atto di testimonianza orientato a cogliere e valorizzare i talenti dei ragazzi, trasmettendo fiducia verso sé e nel proprio cammino di vita. Solo dentro questo orizzonte, capace di educare il cuore e mostrare la positività del reale, l’esame non rimane un mero passaggio insignificante, ma diviene ponte verso il futuro. 

I colloqui orali più belli sono quelli di chi racconta una sua passione, connettendola con naturalezza e sorpresa alle discipline scolastiche, che non sono più noiose scatole di sapere da consumare come prodotti di un supermercato, ma divengono il panorama su cui si staglia la vita. Altrimenti si può parlare di guerre, totalitarismi, problemi dell’Africa, decadentismo, cubismo, Stati Uniti o perfino di Guernica … ma si perde il fattore umano. L’ha ricordato al mondo della scuola anche Papa Francesco: “La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. E questo avviene attraverso un cammino ricco, fatto di tanti ‘ingredienti’. Ecco perché ci sono tante discipline! (…) E insieme questi elementi ci fanno crescere e ci aiutano ad amare la vita, anche quando stiamo male, anche in mezzo ai problemi. La vera educazione ci fa amare la vita, ci apre alla pienezza della vita! (…) Auguro a tutti voi, genitori, insegnanti, persone che lavorano nella scuola, studenti, una bella strada nella scuola, una strada che faccia crescere le tre lingue, che una persona matura deve sapere parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani”.

Non resta che augurare buon cammino a tutti gli studenti “licenziati”, con l’auspicio che possano vivere tutte le prove della vita come ponti per diventare grandi nella certezza che tutto è dato per crescere e scoprire sempre più la propria vocazione.