— Buongiooorno Professore! Tutto tranquillo?
E’ Ibrahima che mi telefona mentre sono in montagna.
— Tutto ok, Ibrahima. Come sei andato agli esami?
No, non si tratta della maturità. Ibrahima ha 21 anni, viene dal Senegal. E’ arrivato in Italia a inizi 2016, vive con altri 23 ragazzoni vicino alla città dove vivo (Melzo, provincia di Milano) ed ha frequentato il corso di italiano di cui sono segretario.
— Bene, professore: ho ricevuto la diploma — risponde.
— Diploma è maschile: si dice il diploma — correggo io —. E gli altri?
Ma facciamo qualche passo indietro.
Gennaio. Partiti da Gambia, Sierra Leone, Benin, Mali e altri Paesi che non sapremmo indicare su una carta geografica; come tanti hanno attraversato il Sahara, impiegando chi un anno, chi due. Dopo mesi di prigione in Libia (omettiamo i particolari) hanno attraversato il mare e sono sbarcati in Italia.
Dopo qualche giorno, sconosciuti, si ritrovano insieme in un palazzo in mezzo alla campagna lombarda, aiutati da Nicoletta, una signora di una cooperativa che segue questi casi (dovrei dire di questa organizzazione e dei suoi programmi, ma sarà per un’altra volta).
Dopo aver invano bussato al Comune di competenza e presso altre istituzioni, Nicoletta ha chiesto aiuto alla Caritas di Melzo, che da 18 anni conduce un corso di italiano per stranieri. Trova una porta aperta, l’unica. Scaravoltiamo il corso per inserire i 24 nuovi iscritti. Lingue diverse, scolarità bassa (e 6 analfabeti, o poco più): un bel match!
Vengono regolarmente a scuola (gli altri corsisti no), in bici, per un sentiero tra i campi (attenzione: siamo in inverno). Vogliono imparare: il corso è l’unica cosa che è stata loro offerta e le giornate sono lunghe.
Ibrahima è un capo nato. Sa tenere ordine tra questi giovanotti, che non si sono scelti e tutti hanno bei problemi. Se uno non viene a lezione, lui sa perché; se serve un esercizio per imparare meglio, lui viene a chiedertelo. Un mastino! In primavera è stato il primo a chiedere di iscriverlo a un corso professionale. Ho spiegato che ci vuole (scusate il linguaggio di una volta) la terza media. So bene che c’è un test per lui impossibile. E anche per gli altri.
Maggio. Il corso sta per terminare e agli insegnanti chiedo: “Cosa facciamo? Diciamo loro che noi andiamo in vacanza?”. Siamo tutti volontari, tutti con un programma per l’estate. Diversi per estrazione e riferimenti, siamo però legati da un rapporto vero, senza fronzoli, alimentato da un esercizio continuo di charitas sperimentata nei fatti.
“E se provassimo a continuare? Magari qualcuno può superare il test per le medie. Certo, ci vuole un programma intenso, ma ci sarebbe anche il vantaggio di impegnare (e bene!) le loro giornate. Diciamo 4 giorni a settimana, con 3 livelli fanno 12 lezioni a settimana, in alcune serve la compresenza di 2 insegnanti”. Per 18 settimane. Bel match! Ne ragioniamo e la conclusione è: “Proviamo!”. Pochi giorni e sono 13 gli insegnanti disponibili per il corso estivo.
Troviamo la scuola che può ospitarci da giugno ad agosto: il consiglio di istituto delle Medie di via Mascagni di Melzo approva la richiesta (molti in consiglio diranno il loro stupore per un’iniziativa del genere). Si chiuderà solo un giorno a Ferragosto. A settembre si tornerà in parrocchia. A luglio si farà una lezione speciale: visita a Bergamo Alta. Saranno numerose le novità didattiche. E anche quelle di vita. In un rapporto, altri rapporti possono nascere. Serena, universitaria che da poco fa l’insegnante nel corso, è del Gruppo missionario della parrocchia che coltiva il “Campo dei sogni”, che è un campo vero e proprio. Combina che più della metà dei nostri ragazzoni possa lavorarci.
E’ poco? No: un insieme di piccole cose (il corso, il campo) è la possibilità di superare l’inattività, mitigare la solitudine e l’abbandono di cui questi giovani soffrono. E soprattutto per fare incontri umani veri, amicizie in cui si condivide un tratto di vita, nel tentativo di condividerne il senso.
Ottobre: test d’ingresso per le medie (“150 ore”, si diceva una volta). Lo fanno tutti e 24. Sappiamo bene che 6 erano partiti dall’analfabetismo (e tanti altri da poco di più), che tutti avevano un italiano a zero e le conoscenze di “cultura generale” erano molto limitate.
Il test è di quelli professionali ma alla fine (sorpresa!) gli ammessi saranno 11 (undici!). A maggio non ci eravamo dati un target, ma il risultato del lavoro estivo dell’anno scorso è grandioso.
Gli altri frequenteranno un altro corso e continueranno a venire a Melzo. Alcuni di loro hanno trovato lavoro, anche se spesso è un lavoretto, provvisorio.
Torniamo finalmente a Ibrahima che telefonava, per dire che ora vuole l’iscrizione alla scuola professionale, diventare cuoco.
Eravamo rimasti alla mia domanda. E gli altri?
— Tutti gli altri hanno ricevuto la — scusami Professore, il — diploma.
— Allora, tutti e undici promossi?
— Sì, Professore. Buongiooorno…!
Un piccolo-grande evento lungo 19 mesi. Come continuerà non lo so. Ma intanto ve l’ho raccontato.