Divulgare va bene e quindi plaudo alla collega Rossi che a fine anno ha divulgato gli “arcana” (che spesso tali sono anche per gli addetti ai lavori e cioè docenti e presidi…) della normativa scolastica a patto, però, di conservare il rigore scientifico, altrimenti pure gli Angela (padre e figlio) non avrebbero il prestigio che hanno.
Non se ne abbia perciò a male la collega Rossi: sarò clemente con lei proprio in considerazione della circostanza che alcune sue “inesattezze” sono, ahimè, largamente condivise da stuoli di dirigenti scolastici da tempo immemorabile.
La mia non è una generalizzazione superficiale ma piuttosto esperienza personale diretta sia come docente di diritto che come consulente di legislazione scolastica per siti e mailing list di scuola.
Ho trascorso anni interi a battagliare con alcuni miei presidi che pretendevano di applicare la cosiddetta privacy che tale non era per espressa valutazione dell’Autorità Garante della medesima.
Dunque, per cominciare a sfatare la vulgata della cosiddetta privacy applicabile alle procedure amministrative scolastiche: è dai tempi ormai lontani di Stefano Rodotà, primo Garante della privacy, che è stato chiarito (sul sito dell’Autorità Garante come nei documenti ufficiali che nessuno si prendeva evidentemente la briga di consultare o leggere) che la tutela della privacy non confligge con gli obblighi di legge previsti dalla normativa scolastica.
Se il Garante garantiva (bisticcio voluto) che le leggi andavano applicate, perché mai è nata la leggenda metropolitana dei quadri “muti”?
Perché non si considerava che la pubblicazione dei risultati degli scrutini (leggi “quadri” o “tabelloni” o come si chiamano alle diverse latitudini) è costitutiva dell’effetto e perciò non facoltativa. In parole povere: le decisioni prese dal consiglio di classe prendono vita perché rese note con la pubblicazione.
Non esiste, per definizione, lo scrutinio dagli esiti “riservati”. Quindi sbagliavano e sbagliano alla grande quei presidi che facevano o fanno pubblicare i quadri “muti” e cioè privi dei voti dei bocciati.
Se non esiste lo scrutinio “riservato” è evidente che la pubblicazione deve prevedere la presenza in chiaro di tutti gli elementi per i quali l’iter amministrativo (il consiglio) si è concluso (quindi tutti i voti di promossi e bocciati), con due eccezioni.
Una riguarda la privacy relativa agli studenti portatori di handicap (ma perché i dati sulla salute appartengono alla categoria dei dati personali sensibili di cui non è consentita la divulgazione) e l’altra riguarda i bocciati non scrutinati.
Chi sono i bocciati non scrutinati? Quelli che, a norma del recente Regolamento sulla valutazione (che ha innovato in materia rispetto alla normativa precedente risalente ai Regi decreti di inizio 900) non hanno frequentato i tre quarti del monte orario annuo personalizzato. Quindi i loro voti non sono deliberabili e pubblicabili semplicemente perché l’aver superato il tetto massimo di assenze è condizione preclusiva allo scrutinio.
Come dico sempre ai miei studenti: se superate il tetto delle assenze potete avere pure tutti dieci in tutte la materie, ma verrete inesorabilmente bocciati senza alcuna possibilità discrezionale del consiglio. Insomma, dalle assenze non ci si salva per “chiara fama” ma al massimo per le deroghe consentite e deliberate dai collegi docenti.
Tolte le due eccezioni descritte, di cui peraltro una sola riconducibile alla normativa a tutela della privacy, vediamo di capire il senso della mancata pubblicazione dei voti dei ragazzi col giudizio sospeso.
Per loro le operazioni di scrutinio non sono concluse ma appunto sospese e pertanto non possono essere pubblicati i voti non ancora deliberati. Ed i voti non deliberati non sono solo quelli relativi alle materie sulle quali saranno oggetto di verifica a settembre (o più frequentemente ed inutilmente a luglio) ma sono tutte le proposte di voto di tutte le materie.
Del resto sarebbe poco comprensibile una deliberazione “a puntate”: le sufficienze le determiniamo a giugno e le altre in sede di consiglio finalmente chiuso a luglio o più razionalmente, come recita la norma, “prima dell’inizio dell’anno scolastico” e quindi anche a settembre.
“Notate che non si dichiara nemmeno in quali materie la ragazza sia insufficiente” scrive la Rossi, cominciando a scivolare fra le sabbie mobili delle vulgate e delle leggende. La Rossi fornisce, apparentemente, la spiegazione: tanto ognuno lo sa quali sono le sue magagne. Peccato che se fosse vero la cosa andrebbe applicata, in nome del principio di uguaglianza, a tutti, ai buoni e ai cattivi per usare termini semplici.
Ovviamente non è così, perché se non si pubblicano le materie del giudizio sospeso, in realtà, la ragazza potrebbe persino considerarsi “promossa”.
Questa della mancata indicazione, nei quadri, delle materie con giudizio sospeso mi mancava nella raccolta di un futuro “Stupidario” degli esami-fantasma. Ero rimasto a “non pubblichiamo i voti del bocciato, hai visto mai facesse qualche sciocchezza…”.
Ovviamente valutare è un atto di responsabilità, ma non si può tradurre nella farsa del “lo facciamo ma non lo scriviamo e lo raccontiamo in camera caritatis”.
La parte più scivolosa dell’articolo è però è la chiusa, quella in cui la Rossi parla di applicare correttamente, a suo giudizio, la privacy non pubblicando i tabelloni per seguire quella che, ahilei, definisce testualmente una “usanza”. Eh no, cara professoressa, stai rovesciando i termini della questione: l’usanza non sono i tabelloni, l’usanza è la “privacy de’ noantri” che non esiste per come la si racconta e la si applica.
E pensare che la collega Rossi aveva esordito correttamente scrivendo che parlare di “esami di riparazione” è scorretto. Poi, però, non ci racconta (magari perché non lo ha mai sperimentato) il mistero di esami aboliti nell’ormai lontano 1995 e mai ripristinati che confliggono, ahimè, con pretese “commissioni di esame” formate dal consiglio schierato al gran completo per assistere collegialmente alle verifiche di luglio/settembre.
Oppure l’altra suprema sciocchezza della “prova suppletiva” per lo studente assente per malattia (più o meno finta se magari la storia avviene a luglio e si vuole così guadagnar del tempo) alle verifiche preliminari al consiglio. Ora la prova suppletiva, a legislazione vigente, riguarda esattamente solo gli esami ma le verifiche di luglio o settembre esami non sono. Del resto avete conoscenza di consigli finali di giugno rinviati per malattia dello studente? E se non vale per giugno perché non dovrebbe valere lo stesso principio per i consigli finali relativi agli studenti sospesi? Sol perché i nostalgici degli esami di riparazione (aboliti e mai ripristinati) ricordano le sessioni suppletive dei medesimi?
Sarebbe interessante sviluppare il discorso anche proprio in relazione a certe scelte irrazionali ed incomprensibili come quella di fissare le verifiche a metà luglio. Perché irrazionali ed incomprensibili? Ma perché non bisogna essere pedagogisti di chiara fama per capire che non si può immaginare di spremere uno studente come un limone senza soluzione di continuità da settembre a luglio e questo sia che si sia impegnato sia, a maggior ragione, se non ha fatto nulla per un anno intero.
Ma il discorso sarebbe lungo ed esulerebbe dallo spirito di questo contributo. Le autocitazioni non sono eleganti ma siccome ho esordito parlando di divulgazione e rigore scientifico mi permetto di segnalare, se qualcuno ha voglia di approfondire, un contributo che ho scritto anni fa proprio partendo dalla necessità di far comprendere anche a chi immagina la scuola come uno strano mondo con strane regole che conoscerle è essenziale.
Buona lettura e buone vacanze anche agli studenti sospesi… Ed anche alla collega Rossi con la speranza che, come si dice a Napoli, “nun si sia pigliata collera”.