Leggere i quotidiani richiede sempre grande vigilanza: può capitare infatti di imbattersi in articoli dai toni apocalittici come il fondo di Galli della Loggia su “L’Italia che scappa di mano”, o il breve, significativo dialogo con un professore che, dal prossimo 31 agosto, sarà ufficialmente in pensione (Corriere, venerdì 14 luglio). E tuttavia, solo assaporando un pezzo di questo calibro, ci si può inoltrare nel percorso spesso complicato e difficile di una nuova giornata, con l’entusiasmo e la voglia di scoprire quali sorprese la realtà sarà in grado di riservarci.
Aldo Scarpis: professore di greco, 43 anni di onorato servizio, 28 dei quali prestati consecutivamente presso il Liceo Parini di Milano. Chi come lui, giunto al traguardo della pensione, afferma di “doversi costruire ora… un inizio”, è persona convinta, e certamente a ragione, di avere svolto “il mestiere più bello del mondo”.
I fortunati, diciamocelo, sono stati però i suoi studenti: incontrare un adulto ancora capace di incuriosirti e affascinarti è un’esperienza piuttosto rara di questi tempi. E tuttavia, che sia realmente accaduta, lo si evince da alcune battute dell’articolo stesso: “Per tanti anni ho avuto più interessi in comune con gli studenti che con i colleghi”. Forse questo professore ha saputo accettare, proprio nel rapporto con i ragazzi, la sfida di una distanza che, nel tempo, si è tramutata in autorevole familiarità.
La forza di Aldo Scarpis è stata l’infaticabile esercizio di “allargare la ragione” puntando innanzitutto sulla libertà degli studenti. Paradigmatica la sua posizione nel 2004, quando il Parini assurse tristemente alla ribalta della cronaca per un episodio di vandalismo messo a segno da quattro dei suoi studenti. “A scuola c’era chi ne invocava l’espulsione o una punizione esemplare”. In quella circostanza Scarpis ebbe il coraggio di mettersi lui stesso in discussione: “Dobbiamo lavorare di più, docenti e famiglie, per trovare qualcosa che spinga i ragazzi a vivere con maggiore dignità”.
Ecco dunque il segreto: giocarsela sul campo anche quando il gioco si fa duro. Ed è sempre duro “giocare” con i ragazzi: occorre infatti utilizzare le loro armi, avendo l’umiltà di imparare a conoscerle. Scarpis, per esempio, ha saputo ammettere, senza però temerla, quella distanza che lo separava dai cosiddetti “nativi digitali”: è entrato in campo con la curiosità di chi fa leva, oltre che sulla forza della propria esperienza, anche sull’energia della propria passione educativa. Gli è riuscito così di spiazzare perfino taluni dei suoi studenti migliori: “Imparate ad osare!”. Come a dire: abbiate il coraggio della verifica!
Ne Il rischio educativo, don Giussani considera indispensabile “che l’offerta tradizionale sia verificata e che ciò possa essere fatto solo dall’iniziativa del ragazzo e da nessun altro per lui”. Proprio questo sembra aver messo in atto il professor Scarpis avendo a che fare, tra l’altro, con ragazzi privati ormai anche della tradizione. Il primo infatti a saper “osare” è stato proprio lui di fronte a ciascuno di loro!
Nell’epilogo al suo ultimo libro Il segreto del figlio, Massimo Recalcati osserva con acutezza che “compito primo dei genitori è quello di avere fede nel segreto incomprensibile del figlio e nel suo splendore”. Che tale compito debba appartenere ad ogni educatore, è fuor di dubbio. Forse il professor Scarpis e insieme a lui, ci auguriamo, tanti altri docenti, si è lasciato, ogni giorno, “superare” dai suoi ragazzi esercitando così una sorta di misteriosa e feconda paternità, quella cioè capace prima di generare e poi di far emergere nell’altro l’umano.
A queste condizioni si può “uscire di scena” senza però “tramontare”.