Dunque, gli ultimi dati dicono che l’Italia detiene il poco invidiabile record di Paese con il maggior numero di giovani fra i 15 e i 24 anni che non hanno un lavoro e nemmeno lo cercano (Neet). Se la media Ue è dell’11,5 per cento, in Italia siamo al 19,9 per cento.
Se poi, oltre a questo dato, teniamo in giusta considerazione il trend di persone che in Italia vivono in condizioni di povertà (11,9 per cento), dovremmo essere tutti della convinzione che questa dovrebbe essere la priorità di un Paese che ha il coraggio di guardare in faccia il proprio presente-futuro. Con scelte forti, da condividere, al di là delle normali differenze anche di bandiera politica.
In Francia, ad esempio, è protesta aperta per le iscrizioni universitarie, con richiesta di piena valorizzazione dell’orientamento da parte delle scuole e delle stesse università, al di là dei test. È forte cioè la domanda di pari opportunità, di equità.
In Italia invece è altrettanto forte, ancora più forte, causa dei drammatici dati sulla disoccupazione giovanile e dei Neet, lo scarto tra formazione e lavoro.
Che la formazione, ce lo ripetiamo, non debba essere finalizzata solo al mondo del lavoro, è cosa ovvia. Per la sottolineatura, invece, della formazione della persona, prima che delle sue competenze professionalizzanti. Ma i dati sulla disoccupazione, e quelli su titoli di studio senza mercato di lavoro come su profili occupazionali che non trovano risposte, dovrebbero portare la discussione su un punto, che nessuno ha ancora oggi avuto il coraggio di mettere in evidenza.
Parlo dell’orientamento alla scelta della scuola superiore. Per l’orientamento universitario è oramai assodato che, per alcune facoltà, è giusto ed equo il filtro dei test d’ingresso. Il problema è che questo filtro venga fatto bene, ma non viene messo in discussione il “se”, a parte alcune frange minoritarie.
E per l’orientamento alla scuola superiore?
Il familismo italico sino ad ora ha garantito alle famiglie la scelta, con risultati che conosciamo, visto il 50 per cento circa delle scelte per i licei, e conseguente declassamento, nell’immaginario, dei percorsi tecnici, professionali e regionali. Quasi una classifica qualitativa tra scuole e indirizzi, con in mezzo i titolari dell’orientamento delle scuole medie, cioè i docenti, tutti figli dei profili liceali.
Inutile parlare di pari dignità, di pari opportunità. Inutile parlare di attenzione ad attitudini, passioni, opportunità, sensibilità, per gli studenti. Tutto inutile.
Senza dimenticare poi il contesto ambientale, al di là di attitudini e talenti: parlo della pressione dei genitori perché i licei accolgano i loro figli per ragioni, appunto, ambientali, per il clima e la tranquillità, cioè per la cornice educativa.
Affermo tutto questo perché da quest’anno, viste le tante iscrizioni al mio liceo (a settembre saranno 2.170), ho introdotto, date le troppe iscrizioni, un primo filtro qualitativo, affidandomi alle indicazioni di orientamento delle scuole medie. Non c’era alternativa, nè è possibile affidarsi alla ruota della fortuna, come il sorteggio, per ovvii motivi. Perché il cuore della scuola è l’accompagnamento alla chiarificazione dei ragazzi in ordine ai propri talenti, attitudini, sensibilità, preparazione di base.
Che sia necessario, visti i punti critici cui si è fatto cenno, introdurre e prevedere anche nel nostro Paese ciò che già è previsto in altri Paesi, cioè prove di orientamento, vincolando l’iscrizione all’indirizzo delle superiori al loro esito? Con iscrizione da parte delle scuole medie, e non più delle famiglie?
È giusto che se ne parli, di discuta, si ragioni, oltre gli steccati e le tradizioni.