Le recenti indagini milanesi su una ventenne sospettata di istigazione al suicidio attraverso Instagram (ne ha parlato un articolo di Repubblica del 20 giugno) ha di nuovo acceso l’interesse attorno a Blue Whale, il gioco distruttivo reso noto dal controverso servizio de Le Iene del 15 maggio 2017.

I siti perversi non sono una novità. Andavano forte fino a qualche anno fa quelli dedicati a incentivare l’anoressia e in generale a promuovere l’estetica del magr(issim)o è bello. Lì si potevano (ma ancora si riesce, nonostante l’azione di contrasto della polizia postale) trovare consigli su come perdere peso, su come non farsi scoprire o su come calcolare ossessivamente le calorie. Ora che l’anoressia fa meno notizia, anche se il fenomeno è tutt’altro che debellato (i dati 2016 lo danno in crescita di oltre 8.500 casi l’anno), i media cercano in rete altri possibili scoop.



Nasce così il servizio de Le Iene. Giustamente oggetto di critiche per le forzature e le imprecisioni contenute, ha comunque acceso un riflettore su alcune di forme di disagio giovanile che lasciano intravedere uno smarrimento così angosciante al cospetto del quale qualsiasi rimedio, anche il più estremo, appare il benvenuto.



Blue Whale è un programma di istigazione al suicidio promesso come premio al termine di un cammino di spoliazione e rinnegamento di sé raggiunto con un’obbedienza succube, con l’ottundimento della coscienza attraverso la deprivazione del sonno, unito all’assunzione di massicce dosi di film horror e all’istigazione all’autolesività. La quindicenne di Fiumicino soccorsa dalla polizia a fine maggio mentre progettava di farsi investire da un treno, era arrivata al ventiquattresimo dei 50 passi previsti dal programma. A salvarla la tempestiva telefonata di un’amica, alla quale aveva confidato di non reggere ulteriormente la situazione e di voler per questo affrettare la conclusione del “gioco”. Un evento che se si fosse verificato, avrebbe determinato il successo del “curatore”, il nome paradossale sotto il quale si ammanta il seduttore sadico che opera attraverso la rete.



Nei suoi lavori sulla seduzione, Il Diario del seduttore e Don Giovanni (entrambi pubblicati nel 1843), Kierkegaard si è rifatto all’esperienza personale con la giovane Regine Olsen: la figlia del primo ministro che aveva portato a un passo dal suicidio, abbandonandola bruscamente poco prima delle nozze. Nelle due opere il padre dell’esistenzialismo distingue il seduttore musicale e il seduttore riflessivo. L’obiettivo del primo è il godimento empirico e spiccio, il secondo si muove invece su un piano metaempirico, ricercando il godimento nell’inganno e nell’astuzia, gli artifici mediante i quali ottiene il pieno controllo della ragazza. La prova del nove dell’avvenuta conquista non sarà pertanto una nuova “tacca” da aggiungere sulla sponda del letto, ma la certezza del completo spaesamento di lei, resa così disponibile a qualsiasi sacrificio, compreso quello di sé. Da notare che per Kierkegaard il Don Giovanni gaudente al cospetto del seduttore riflessivo rimarrà perennemente un “dilettante”.

Nell’elaborazione di Kierkegaard trova ampio spazio il mito marino di Tritone e Agnese, che sta alla base della Sirenetta, la famosa fiaba del suo concittadino H. C. Andersen. Per metà uomo e per metà pesce, Tritone scruta dagli abissi la ragazza che si specchia nelle acque scintillanti, se ne innamora e la seduce, trascinandola così nel fondo degli abissi, verso la rovina.

La madre della quindicenne di Fiumicino ha parlato di un sentimento misto di “paura e eccitamento” dal quale la figlia, un po’ timida e chiusa — anche “per i conflitti presenti in famiglia” (Adnkronos, 29 maggio 2017) —  sarebbe rimasta stregata. Le attenzioni speciali del “curatore” personale, possono attenuare quel vissuto di invisibilità e (forse) per questo addirittura di indegnità, che talvolta si presenta mentre l’infanzia si affaccia vertiginosa su una nuova epoca, ancora ignota. È un’incertezza sulla propria esistenza, sulle sue mete, sul suo interesse per gli altri, che inconsapevolmente collude con il progetto della seduzione nichilista.

Con la ventesima regola di Blue Whale il “curatore” chiede al giovane assistito nuove prove di affidabilità con la richiesta di tagli e lesioni della pelle sempre più profonde, dalle quali — per usare un’espressione di Giacomo Contri — “non cola solo il sangue, cola anche l’anima”. La “premura” del “curatore” alimenta l’ennesimo sforzo della vittima finalizzato alla sua approvazione e di riflesso alla conferma della propria esistenza. Una trappola mortale, non solo in senso metaforico, che l’ultimo dei punti del programma esprime con uno slogan conclusivo degno del progetto superegoico nietzschiano: “prendetevi la vostra vita”.

L’adolescenza è un’epoca di idealizzazioni dove il pensiero può smarrirsi, scambiando il senso della realtà inteso come direzione e prospettiva di un movimento personale, con un luogo statico, mistico e inaccessibile: la profondità. È questo il disorientamento nel quale il “curatore” perverso si insinua. Nel Diario del seduttore Kierkegaard scrive “per tanto è d’uopo guidare Cordelia in modo che nel suo ardito volo ella perda di vista (…) la terra ferma della realtà”.

Osservando in controluce le traiettorie educative perverse del programma Blue Whale, possiamo ricavare una preziosa indicazione. Nell’opera educativa è necessario coltivare l’innocenza (primum non nocere) astenendosi da ogni forma di inganno, ad esempio evitando di confondere “senso” con “profondo”. “Andare a fondo” non ha nulla a che fare con la scoperta del senso “profondo” del reale, evocato dalla capacità di immersione della balena. Significa solo essere finiti fuori rotta e aver fatto naufragio. In questi casi al naufrago servirà il coraggio di ricalcolare il percorso della propria esistenza, anche cercando nuovi maestri e nuovi curatori.