In tre fitte giornate dall’11 al 13 di luglio, nell’ampia ed elegante residenza alberghiera che già ospitò il seminario diocesano, nel cuore di Brescia, si è svolta la consueta Summer School dell’Associazione culturale “Il Rischio Educativo”, giunta al suo undecimo anniversario. Un’edizione segnata da una bella novità, che sbrigativamente direi organizzativa: si tratta del sodalizio che l’Associazione, intesa alla formazione dei docenti di scuole paritarie e statali di ogni ordine e grado, ha stretto con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano, e precisamente col dipartimento di Formazione post laurea e Research partnership, diretto da Roberto Brambilla. Sodalizio, si diceva, e non mera collaborazione occasionale, viste la reciproca intesa fruttuosa e, soprattutto, la volontà di entrambe le parti di avviare una prospettiva di cooperazione durevole.



Il tema, anzitutto: “Le eredità del Novecento. Cambiamenti d’epoca e cultura della scuola”. È vero che il terzo millennio è ancora agli esordi, ma si ha tutti il presentimento — lo dice anche il Papa! — di trovarsi nel bel mezzo di una transizione epocale convulsa e indefinibile, di cui non si sa vedere ancora il trapasso. Perciò è opportuno, anzi, necessario fermarsi e fare un serio esame di quanto il secolo alle nostre spalle, pur segnato da disordine e spinte centrifughe, ci consegna come consistente eredità, se non proprio come “acquisto perenne”. E a Brescia lo si è fatto con l’intento di sondare taluni domini della conoscenza che senz’altro hanno connotato il Novecento, un secolo probabilmente più lungo di quel che misurava Eric Hobsbawm (che oggi avrebbe compiuto cent’anni).



Aprendo i lavori, Onorato Grassi, qui in veste di presidente del comitato scientifico dell’Associazione, ha richiamato le ragioni di una scelta. Il secolo ormai consegnato alla storia non soltanto richiede una sua configurazione (e in tal senso va l’apporto del convegno), ma va pensato anche in soccorso dei tanti maestri, professori, direttori di scuola che sono ovviamente costretti dal passare dei decenni a rivedere e riordinare l’impianto generale dei loro programmi didattici, e che pure in questo frangente non abdicano al rischioso compito di educare insegnando.

La (geo)politica, l’economia, la rivoluzione digitale, il complesso e complicato pensiero filosofico, la linguistica e le neuroscienze, cinema e televisione, la narrativa, la fisica e le nanoscienze, la genetica: di tutto ciò si è avuto l’agio e la libertà di ragionare. Può bastare? A giudizio di chi scrive è bastato e ne avanza, consapevole che tanto altro si poteva aggiungere: dalla chimica alla statistica, dalla psicanalisi alle scienze sociali, dalla musica alle arti figurative, dalla storiografia alla poesia… Ogni selezione è a suo modo crudele ed espone all’obiezione, inevitabilmente. E tuttavia, una scelta va pur fatta, e la scelta fatta vanta una triplice virtù. Intanto, il merito di affrontare di petto una questione — un (provvisorio) bilancio del XX secolo intellettuale — di cui si sente forte il bisogno, specie nell’incontro fra generazioni che avviene nelle aule scolastiche, se si decide di non lasciare inevasa la domanda di senso che gli allievi, nelle diverse età, pongono. Poi, la considerazione che le aree elette ben rappresentano il panorama della cultura novecentesca e fra le più atte a darne una lettura soddisfacente. Infine, l’averlo tentato, il bilancio, con coraggio e autorevolezza, grazie alla personalità e alla lucidità, talora ammirevoli, dei relatori.



I quali hanno davvero rischiato un giudizio, senza nascondersi dietro analisi standard o formule anodine, e senza sottrarsi, anzi, mostrandosi ben disposti a rispondere con franchezza e validi argomenti alle molte domande, e di elevato tenore, della platea degl’insegnanti. I quali, fra l’altro, hanno portato il loro giudizio sul piano dell’esperienza d’insegnamento nei vari livelli scolastici, ricevendo dai relatori ulteriori approfondimenti e giudizi anche sul merito della didattica. Mi soffermo sui contributi di maggior impegno e densità.

Lorenzo Ornaghi, storico e politologo, ha individuato nello “stato del benessere, nella politica e antipolitica” i “lasciti pesanti della storia del Novecento”. Il decentramento degli equilibri geopolitici verso aree del mondo lontane e un tempo marginali rispetto all’Europa è andato di pari passo con l’invecchiamento della forma simbolo dell’Occidente moderno, la democrazia rappresentativa liberale, che infine ha dato e dà “segni crescenti di stanchezza e… di affanno”, anche per essersi identificata con lo Stato stesso. Lo sviluppo poi del welfare state è in larga parte responsabile delle aspettative crescenti di sempre nuovi diritti, i quali — è una problematica constatazione e, insieme, una legge — non azzerano i precedenti, rendendo gli uni e gli altri materialmente insostenibili. Con la conseguente trasformazione (e svalutazione) della nozione di diritto. La sfiducia nella politica come sfiducia nello Stato dimostra la solo apparente riscossa della società, entità più astratta e mediatica della comunità, sia essa di territorio o di significato, non ancora però vero soggetto culturale e politico di primo piano.

L’articolato discorso di Michele Lenoci sulla filosofia del Novecento, da lui intitolato “Le avventure della razionalità”, ha dato alla platea l’effetto di una puntuale carta nautica che ti orienta nel viaggio sotto costa lungo un litorale molto frastagliato. Con la fatica, certo, ma anche col godimento di mantenere la rotta e di non smarrire la veduta d’insieme, anzi, di farla risaltare più netta. Lenoci ha distinto due epoche del pensiero novecentesco, grosso modo marcate dallo spartiacque della fine storica del comunismo: un’epoca ideologica e una post-ideologica. La prima — in area continentale, italiana e anglosassone — lungo la scia del pensiero “forte” idealistico ottocentesco, della metafisica, del pragmatismo e della filosofia analitica; la seconda con la crisi del marxismo e lo “sdoganamento” di Nietzsche, con Heidegger e l’ermeneutica, col “pensiero debole”. È in questo tempo, che è poi il nostro, che si profilano orientamenti in parte già visti, in parte inediti: per esempio, i temi “bio” dell’etica, della politica, del diritto, o anche il “nuovo realismo” e la riscoperta dell’ontologia. Con un paio di domande di fondo: che spazio e che ruolo ha oggi un pensiero filosofico cristiano? Qual è oggi il “mestiere” di filosofo? Ha questi ancora un ruolo sociale riconosciuto d’interprete intellettuale?

Ho voluto soffermarmi su questi due contributi sia per il rilievo delle sintesi sia per la problematicità delle questioni, lasciate all’approfondimento di ciascuno e alla ripresa comune che l’Associazione proporrà nei prossimi mesi. Mi limito quindi a elencare i nomi degli altri intervenuti, tutti del pari affabili e preoccupati di consegnare il frutto delle loro ricerche.

Andrea Moro, linguista sperimentale in dialogo coi neuro-scienziati, si è chiesto: “da dove nascono i confini di Babele?” è tutto nuovo “il problema di come decifrare il codice elettrico che i neuroni utilizzano per comunicare informazioni linguistiche”. Prove sperimentali, per esempio a convergenza di onde acustiche ed elettriche in determinate zone del cerebro, ci offrono “nuovi dati… sulla natura speciale degli esseri umani”.

Il fisico Carlo Enrico Bottani ha messo sul tavolo “il ruolo cruciale della meccanica quantistica” — la “nuova fisica” che dal secondo dopoguerra ha condotto alla società del silicio e a Internet.

Il romanziere Luca Doninelli ha saputo districarsi in mezzo alla congerie, quasi l’alluvione, di opere narrative riversate in libreria a cavallo dei due millenni. Ha infatti menzionato produzioni extraeuropee, anche poco note, mostrando quali processi creativi si attuano nello scrittore, come si struttura e come si deposita sulla pagina, e con che linguaggio, il dato, il dettaglio!, di realtà. Con un’interessante riflessione circa il rapporto, problematico, tra la letteratura e la sua critica. 

Luigi Campiglio, studioso versato su quasi tutti i temi teorici e applicati dell’economia, ha analizzato i ricorrenti processi di crisi economico-finanziaria fino alle ricadute sulla cosiddetta “Europa a due velocità”, considerando i seri problemi politici della governance degli organi preposti (Commissione Europea e Bce in primis) e senza trascurare le fragilità degl’istituti bancari italiani.

Roberto Presilla, filosofo della “Gregoriana” con spiccata vocazione all’informatica, è appunto ricorso alla “rivoluzione digitale” per “capire il mondo in cui viviamo”. Lo ha fatto con grande efficacia, sia “demistificando” i prodigi della Rete sia fornendo chiavi insolite di lettura per un impiego efficace e responsabile del digitale e dei social network.

Facendo ampio riferimento a prodotti del piccolo e grande schermo, Armando Fumagalli ne ha restituito un quadro tematico e storico interessante specie in vista di una lettura dei “cambiamenti culturali degli ultimi decenni”, suggerendo inoltre utili criteri per discernere fra i media dell’immagine e trattenerne il buono.

Chiara Bonini, genetista sperimentale, ha rivolto la sua attenzione agli importanti sviluppi di questa disciplina negli anni che vanno dal 2001 al 2015, mettendo in risalto una volta ancora la necessità di creare un’apertura e una collaborazione tra diversi specialismi.

Nelle sue conclusioni, il presidente dell’Associazione, Francesco Valenti, ha sottolineato l’importanza per i docenti di riconsiderare una certa visione riguardo alle eredità del Novecento e l’utilità di maturare un giudizio per la comprensione delle categorie in gioco oggi. L’Associazione continua il lavoro della Summer School attraverso la ripresa delle relazioni e dei documenti proposti, alcuni dei quali saranno approfonditi anche in appositi seminari con la partecipazione dei relatori. Gli inviti a questo lavoro di ripresa saranno precisati nel mese di settembre ed estesi anche a tutti gli insegnanti che vorranno parteciparvi.