Il caos e il malcontento generato dalla prima applicazione della legge di riforma della scuola, nonostante le considerevoli stabilizzazioni degli insegnanti, è stato certificato dall’ex primo ministro, padre-padrone della cosiddetta Buona Scuola: “Ho tanti rimpianti, uno è la scuola. Abbiamo messo tre miliardi ma siamo riusciti a fare arrabbiare tutti. Bisogna essere bravi per riuscirci. Evidentemente qualcosa non ha funzionato”.
La ministra Fedeli ha comunicato che il prossimo anno scolastico avverrà in condizioni di normalità; tutte le operazioni di mobilità e d’immissione in ruolo si concluderanno con un mese di anticipo rispetto all’anno precedente quando le predette operazioni si conclusero il 15 settembre ad anno scolastico avviato. Saranno assunti ulteriori 52mila docenti sui posti liberatisi in seguito a: turnover, incremento dell’organico dell’autonomia, posti già vacanti e disponibili. Con nota del 27 giugno il Miur ha anticipato le istruzioni operative relative alle immissioni in ruolo. Sembrerebbe, però, che l’obiettivo di assicurare le assunzioni ai vincitori di concorso, anche per coloro che non sono state ancora pubblicate le graduatorie di merito, possa dilazionare i termini oltre la tempistica del 14 agosto indicata dalla ministra.
Tutto bene? Apparentemente sì! In realtà il mondo della scuola è attraversato da diversi focolai di malcontento che potrebbero anche tramutarsi in un autunno molto caldo.
La mobilità ha funzionato sicuramente meglio dell’anno scorso, anche se non mancano osservazioni e malcontenti che troveranno parziale soluzione con le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie. Di certo il disegno organizzativo basato sugli ambiti territoriali e sulla chiamata diretta da parte delle scuole è stato completamente smantellato. La mobilità avviene in larga maggioranza con le vecchie regole (trasferimento su scuola); l’unica novità/innovazione riguarda l’algoritmo ministeriale il cui funzionamento è ancora misterioso e inaccessibile ai soggetti interessati.
All’orizzonte c’è sempre la questione del precariato storico, la reiterazione dei contratti a termine su posto vacante e il riconoscimento degli scatti di anzianità ai precari, come ribadito dalla Cassazione. Sono annunciati sviluppi alla Corte europea per cui il risarcimento fino a dodici mensilità potrebbe non bastare più.
E mentre la Commissione di Giustizia europea chiede di fornire spiegazioni entro il prossimo autunno sulla condotta discriminatoria dello Stato italiano verso i precari della pubblica amministrazione, almeno 30mila insegnanti, cosiddetti “saltuari e temporanei”, aspettano ancora di essere pagati per le supplenze effettuate negli ultimi tre mesi di lezione, nonostante il sistema ‘rigido’ messo in atto da quest’anno scolastico per garantire la regolarità delle retribuzioni. Penso che la questione si risolverà nei prossimi giorni con buona pace di tutti. Piuttosto, a meno di cinquanta giorni all’inizio del nuovo anno scolastico appaiono irrisolvibili alcune questioni che riguardano la conduzione delle scuole, di cui forse non si ha piena consapevolezza.
Per quanto riguarda i dirigente scolastici, il DM n.496 del 7 luglio scorso per quanto abbia ridotto di quasi 80 unità le scuole autonome e aumentato a 354 quelle sottodimensionate, al netto dei pensionamenti sono cica 1900 le scuole che andranno a reggenza. Questo significa che una scuola su due avrà un preside costretto a gestire due scuole autonome, con almeno una decina di plessi complessivi. Anche i direttori dei servizi generali e amministrativi (Dsga), la figura di responsabilità amministrativa della scuola registrano una vacanza di organico di oltre 1700 unità. La situazione di alcune regioni del Nord è a dir poco critica. Visti i dati di realtà, appare evidente la complessità della situazione. I carichi di lavoro dei Ds e dei Ddsga sono obiettivamente insostenibili. Una qualche riflessione bisognerà pur farla e qualche soluzione praticabile bisognerà trovarla. Così il sistema non può reggere. E’ sintomatico che presso il Miur al tavolo sulla semplificazione si stia discutendo in particolare del tema della rilevazione dello stress da lavoro correlato dei dirigenti e della sicurezza nelle scuole.
Sono convinto della necessità di un intervento urgente e straordinario che possa garantire un’adeguata gestione delle istituzioni scolastiche in maniera funzionale all’erogazione del servizio scolastico. L’istituto delle reggenze non è la soluzione, assolve un mero adempimento formale e burocratico. Si dia temporaneamente responsabilità alle tante e diffuse professionalità che, affiancando o sostituendo dirigenti e direttori, tutti i giorni hanno fatto “camminare la macchina scuola”, senza alcun riconoscimento formale. Si formalizzino delle reti di coordinamento territoriali presidiate dai dirigenti titolari con il compito di sovrintendere il lavoro delle figure preposte alle singole istituzioni scolastiche autonome.
Non basta, serve con altrettanta urgenza un’adeguata programmazione delle procedure di reclutamento, che non può essere ingessata solo sui concorsi senza alcun filtro professionale e per di più con cadenze bibliche. Ma, intanto, almeno che si facciano i concorsi annunciati da “illo tempore”, altrimenti, andando avanti di questo passo la situazione diventerà ingovernabile. Ulteriori ritardi non sono accettabili
Va sottolineato che la categoria dei dirigenti scolastici ha dichiarato lo stato di agitazione con forme diverse secondo le appartenenze sindacali. Su queste pagine il 22 maggio scorso Giorgio Rembado dell’Anp ha ampiamente illustrato le “verità nascoste” che stanno nella “rabbia dei presidi”, rivendicando la piena perequazione economica con le altre dirigenze pubbliche e la semplificazione amministrativa onde evitare le vessazioni burocratiche. Altri (Udir) hanno denunciato alla titolare del Miur una “situazione ormai insostenibile”, sia per la retribuzione “non proporzionale al carico di lavoro e responsabilità”, sia per le “inadeguate condizioni di sicurezza delle scuole”, che “per “le continue molestie burocratiche”.
Apparentemente più accomodanti i confederali che puntano a destrutturare l’impianto della legge 107, privilegiando quale sede regolatrice dell’organizzazione del lavoro la fonte contrattuale su quella legislativa. Infine in rete gira un documento, indirizzato a tutti e sei i sindacati dell’Area dell’Istruzione e della Ricerca, con cui i firmatari “diffidano” le organizzazioni sindacali rispetto all’eventuale sottoscrizione di un contratto che non preveda almeno: la piena perequazione economica con le altre dirigenze e l’attribuzione di risorse economiche e di personale aggiuntivo per ogni nuovo adempimento. Il documento, sottoscritto da oltre 700 dirigenti, rappresenta una nuova forma di mobilitazione, quasi clamoroso che sembra andare contro ogni forma di rappresentanza “a prescindere”. Che sia il M5s dei dirigenti?
Le notizie non sono rassicuranti neppure dal fronte economico. L’intesa del 30 novembre 2016 tra la ministra Madia e alcune confederazioni (Cgil, Cisl, Uil e Confsal), può addirittura rappresentare un ulteriore ostacolo per quanto attiene alle rivendicazioni in tema di retribuzione della categoria. Infatti, il riferimento agli 85 euro medi lordi pro capite e il dichiarato intento di ridurre la forbice retributiva, valorizzando prioritariamente i livelli retributivi più bassi, vanno della direzione opposta al raggiungimento dell’obiettivo della piena perequazione della categoria.
Che dire? Le questioni aperte sono tante e l’autunno si annuncia caldo. Sullo sfondo resta un Paese agli ultimi posti in Europa per numero di laureati e per investimento in istruzione che paga poco il personale scolastico, che ha perso potere d’acquisto e aspetta da quasi dieci anni il rinnovo del contratto nazionale.
E se fosse vero, come afferma Claudia Pratelli, che il valore economico riconosciuto al personale scolastico corrisponde al (mancato) valore politico riconosciuto all’istruzione pubblica nel nostro Paese?