“In arrivo il contributo alle scuole paritarie, trasferiti agli Usr le risorse e in questi giorni al via i versamenti alle scuole. Mai nessuno Governo aveva destinato tanta attenzione alla parità scolastica, così come mai nessuno ha mai fatto come noi controlli serrati al sistema delle paritarie tanto da proporre 47 chiusure di riconoscimento della parità scolastica ad altrettante scuole”. Lo ha detto in un recente comunicato il sottosegretario al Miur Gabriele Toccafondi. 



Sottosegretario Toccafondi, quali novità ci sono per le scuole paritarie?

Numeri alla mano possiamo dire di sì, che finalmente ce ne sono. Non abbiamo filosofeggiato sulla parità scolastica, su un aiuto concreto a chi ci lavora, agli insegnanti e alle famiglie, ma abbiamo dato risorse, novità normative, detrazioni fiscali e deduzioni; perché la scuola paritaria è parte integrante del sistema di istruzione nazionale. Numeri alla mano, lo Stato dovrebbe solo ringraziare che esista.



Ci ridica questi numeri.

È una cosa a cui non mi sottraggo. La scuola paritaria per essere tale deve avere il riconoscimento da parte dello Stato e deve sottostare a regole e controlli. Chi non sta in questo sistema di regole e di controlli, non si chiama scuola, fa corsi privati di preparazione. Di solito vediamo le pubblicità “due-tre-quattro anni in uno”, ma questa non è scuola paritaria e non rilascia nessuno titolo di studio finale. Quella non è la parità scolastica. Noi parliamo di chi sta dentro un sistema di  istruzione e formazione monitorato e verificato. Parliamo di 13mila scuole, di 970mila studenti, di 130mila fra docenti e personale non docente. A questo sistema lo Stato riconosce un contributo annuo di 500 euro per quasi 1 milione di famiglie. L’Ocse ha individuato e riconosciuto che il costo medio che lo Stato sostiene per uno studente italiano sia di circa 6.500 euro l’anno e parliamo di circa 9 milioni di ragazzi e bambini. Se domani le paritarie chiudessero si “risparmierebbe” il contributo di 500 euro, ma occorrerebbe  costruire nuove scuole, mantenerle, assumere insegnanti, pagare i servizi per un ulteriore milione di ragazzi e il costo unitario ce lo ricorda l’Ocse: 6.500 euro l’anno!



Tornando sulle novità introdotte, ci parli delle risorse.

I contributi arrivano alle scuole e servono per abbassare le rette, ovvero venire incontro alle famiglie. A conti fatti quest’anno stanno arrivando, proprio in questi giorni, 570 milioni di euro alle scuole. Mai nessuno aveva raggiunto una cifra simile, questo dato qualcuno, anche nella maggioranza, sembra si vergogni a dirlo, io lo urlo. Ai quasi 500 milioni, definiamoli così “storici”, che però noi abbiamo stabilizzato anche per il futuro e unificato come capitolo di bilancio nazionale, si sommano 23 milioni per la disabilità. Questi 23,4 milioni servono per aiutare le famiglie con ragazzi disabili e aiutano le scuole che per legge devono garantire l’insegnante di sostegno. Il problema è che lo Stato non paga loro l’insegnante di sostegno e quindi questa spesa grava, e tanto, sulle famiglie e sulle scuole. Adesso iniziamo a rispondere a questa iniquità con un contributo. Inoltre, quest’anno va aggiunto un contributo straordinario di 50 milioni per le materne. C’è poi un altro elemento di aiuto alle famiglie, sono le detrazioni per i genitori. L’anno scorso erano di 400 euro e tra un anno raggiungeranno gli 800 euro annui a figlio, poi c’è il lavoro per l’estensione dei fondi Pon alle paritarie che sta proseguendo e lo School bonus con il credito di imposta per le aziende, e potrei proseguire.

Nel suo comunicato stampa che annuncia l’arrivo dei contributi ha fatto un appello contro posizioni ideologiche. Rispetto agli anni precedenti è cambiato qualcosa?

Direi proprio che non sembra cambiato molto. In ordine sparso, associazioni varie di studenti, sindacati o insegnanti hanno detto: inaccettabile, decisone che lascia basiti, scelta gravissima e offensiva, poi l’immancabile richiamo all’articolo 33 della Costituzione e al “senza oneri per lo Stato”. Ma ho notato anche un silenzio, spero non rassegnato, da parte di chi la scuola paritaria la vive ogni giorno. Peccato, perché alla parità in Italia si potrà arrivare solo con un percorso razionale e concreto, non per ideologia. Insomma, o la parità viene spiegata, raccontata, difesa da chi la vive, ci lavora, da chi ha fatto esperienze educative oppure vince la rassegnazione e la difesa di un concetto. 

Cosa si risponde a chi cita l’articolo 33 della Costituzione? Il “senza oneri per lo stato” è molto chiaro.

Per dire che non è così basterebbe ricordare che in 70 anni di Costituzione e decenni di contributi la Corte non è intervenuta per bloccare i contributi. Però vorrei aggiungere anche che la storia va studiata, la Costituzione va conosciuta. Soprattutto se la si vuole usare come una bandiera. La Costituzione va letta tutta e così bisogna fare con un articolo. Il 33 va letto tutto. C’è il terzo comma che dice: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Dopo c’è il quarto comma: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. Si tratta di una “facoltà” non di un “diritto”. Non per il semplice fatto che ti alzi una mattina e dici “faccio una scuola” lo Stato deve garantirti un percorso, il riconoscimento del titolo di studio finale e delle risorse. Se stai in un percorso di “parità scolastica” ovvero accetti regole, controlli, leggi, percorsi allora ti riconosco un valore e un contributo.

È la famosa questione dell’emendamento Corbino.

Chi propose quell’emendamento in Assemblea costituente era il liberale onorevole Epicarmo Corbino che ricordò che con il “senza oneri per lo Stato” non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire in aiuto degli istituti privati, ma che nessuno istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. Si tratta della facoltà di dare o non dare. Nel dopoguerra, lacerati e divisi su tanti aspetti, la politica seppe trovare un compromesso anche sulla “parità”. Poi per settant’anni è sembrato quasi impossibile parlare di questi temi. È finita, siamo nel 2017 e in tutto,  tutto il mondo la libertà di scelta educativa esiste, e da decenni. La politica, la persona, prenda posizione senza ideologia e con serenità.  

Qual è o quale dovrebbe essere il ruolo della politica nell’affrontare la libertà di scelta educativa?

Viene il mente la scena di un vecchio film di Moretti, Ecce Bombo. “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Su molti temi che riguardano la scuola il dilemma sembra proprio questo: sto in disparte o non vengo proprio? Così, al massimo, ci si gira intorno. Su temi come libertà educativa, autonomia, valutazione, merito non si può più evitare di decidere o stare in disparte. La scuola, sarà ovvio ma bisogna sempre ricordarlo, non è fatta per chi ci lavora o per gli equilibri dei sindacati o della politica, ma per i ragazzi. La domanda quindi deve sempre essere se autonomia, parità, valutazione e  merito siano utili per migliorare la scuola, per il bene degli studenti, oppure no.