Gli esami di stato sono arrivati all’ultimo atto, in tutte le commissioni studenti e studentesse stanno affrontando il colloquio e poi attendono di sapere il voto finale, che comunque ormai intuiscono perché è la pura somma del credito e delle prove. 

Il colloquio teoricamente è per studenti e studentesse la possibilità di mettere in campo capacità critiche e creative, il momento in cui vedere in atto la loro vera “maturità”. Poi però nel 70 per cento dei casi si assiste ad una riduzione impressionante e qui fatidici 15-20 minuti diventano un caleidoscopio di banalità oppure un bombardamento alla Guernica sul malcapitato. 



Anni di esperienza mi portano a constatare che gli stessi docenti dovrebbero per primi chiarirsi le idee sul colloquio, per mettere a frutto il più possibile questa preziosa occasione. 

Colloquio non è fare domande su tutte le materie, non è l’obbligo di far durare la tesina 10 minuti, non è neanche rimanere tutto il tempo a disquisire sui temi della tesina. Colloquio non è neppure l’esposizione di una somma di informazioni accatastate, eppure il 70 per cento dei colloqui sono così, e tradiscono il valore dell’esame perché o non verificano nulla oppure sono una ripetizione di ciò che è stato fatto durante l’anno. 



Per questo bisogna al più presto eliminare colloqui in cui il candidato espone la sua tesina, poi ogni professore fa una o due domande sulla sua materia e infine si correggono le prove scritte L’orale fatto in questo modo non è un colloquio ma un insieme disorganico di interrogazioni da cui esce chissà come un numero. 

Perché vi sia un colloquio occorre che vi sia dialogo, che vi sia confronto tra studenti e studentesse e insegnanti; perché vi sia colloquio occorre che vi sia interazione. 

Per questo ci vogliono due condizioni imprescindibili: la prima è che vi siano insegnanti che non affrontino il colloquio dall’alto della loro presunzione culturale, pensando di saper tutto o di avere da insegnare tutto, ma che siano tesi ad imparare da quello che i candidati comunicano. La seconda è che vi siano studenti e studentesse che affrontano l’esame mettendo in gioco la loro capacità critica e la loro creatività, anche perché maturo non è chi ripete ciò che l’insegnante gli ha messo nella testa, ma chi si è fatto un giudizio personale e sa usare in modo originale ciò che ha appreso.



Perché vi sia un reale colloquio ci vogliono entrambe le condizioni: insegnanti che interagiscono con gli studenti e studenti che interagiscono con gli insegnanti; ci vuole tensione e reciprocità. Questo fa del momento del colloquio un esame reale, un’esperienza di incontro e confronto da cui ognuno impara. 

Questo momento dell’esame dovrebbe essere oggetto di una riforma radicale, nella quale lo studente non passa più, come accade ora, al vaglio di ogni docente, perché in questo caso, in un modo o nell’altro, la pretesa è sempre quella che lo studente sia preparato su tutto. Più semplicemente, al posto di questa interrogazione a tappeto su tutto lo scibile umano occorre un dialogo su ciò che lo studente propone. Ad un insegnante intelligente infatti dovrebbe baatare un solo argomento per capire chi ha di fronte.