Giovedì 6 luglio l’Invalsi ha presentato il “Rapporto sulle rilevazioni nazionali 2017” restituendo i dati sui risultati degli apprendimenti in italiano e matematica degli studenti di seconda e quinta primaria, di terza secondaria di I grado e di seconda secondaria di II grado.
Anche quest’anno il Rapporto è confezionato con tempestività, dal momento che le prove si sono svolte tra i mesi di maggio e di giugno. In questa fase l’elaborazione riguarda le classi campione (che sono comunque statisticamente rappresentative dell’intero sistema di istruzione) e la restituzione aggrega i dati a livello nazionale e di singole regioni. A partire da settembre gli esiti saranno a disposizione di tutte le scuole che potranno prendere visione degli esiti classe per classe: tali informazioni potranno essere utili ai docenti per avviare un confronto interno sull’efficacia delle strategie didattiche ed ai nuclei di autovalutazione delle istituzioni per definire gli ambiti di miglioramento delle istituzioni.
L’anno è indubbiamente molto particolare dal momento che un ciclo si chiude; in primo luogo, dal prossimo anno la prova Invalsi non farà più parte dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione; alla prova sarà così pienamente restituita la funzione di sola valutazione di sistema, non giocando più il ruolo di valutazione dei singoli alunni.
Dal prossimo anno, inoltre, le prove per gli alunni delle secondarie di I e II grado si svolgeranno interamente in modalità on line, con ricadute positive in termini di tempestività e qualità di elaborazione dei dati e di controllo dei protocolli di somministrazione. Da notare, inoltre, l’inserimento di una prova di inglese in quinta primaria ed in terza secondaria di I grado.
Il primo dato che viene evidenziato da parte di Roberto Ricci, responsabile dell’Area prove Invalsi, è l’alto tasso di partecipazione delle scuole alla rilevazione delle classi campione: mai come nel 2017 si è avuta una così alta partecipazione. Si sono registrati casi di regioni, come la Sicilia, passate da una partecipazione che si attestava intorno al 25 per cento nel 2015 ad una quasi totale copertura delle classi.
Nel rapporto, al termine di una panoramica sui risultati ottenuti, vengono avanzate alcune considerazioni sulle tendenze che caratterizzano la scuola italiana. Rispetto agli anni passati non si registrano novità di particolare rilievo, ma il rapporto merita comunque di essere letto con attenzione, perché, nonostante tutto, registra alcune tendenze positive e perché alcuni fenomeni meritano di essere studiati e governati con maggiore attenzione.
Il primo dato riguarda le differenze tra le 5 macro-aree, che diventano più spiccate man mano che cresce il livello di istruzione, soprattutto quando si passa dalla primaria alla secondaria. In seconda primaria, infatti, tre macro-aree (Nord-Est, Centro e Sud) allineano i risultati sulla media nazionale; il Nord-Ovest, invece, presenta risultati superiori alle media ed il Sud ed Isole presenta un livello medio più basso, sia in matematica che in italiano. Situazione analoga anche in quinta (anche se in questa classe il Sud presenta risultati inferiori in italiano). Gli scostamenti rispetto al dato medio, sia in positivo che in negativo, sono comunque contenuti al di sotto dei 10 punti.
In terza secondaria di I grado le differenze tra le varie parti del nostro Paese diventano più marcate: il Nord-Est ed il Nord-Ovest si pongono nettamente al di sopra della media nazionale, il Centro si allinea sulla media, mentre il Sud ed il Sud ed Isole presentano risultati al di sotto di essa, riproducendo una situazione che è stata rappresentata anche negli anni precedenti. In seconda secondaria di II grado le differenze si consolidano ulteriormente e diventano più marcate, si allarga anche lo scarto tra il Nord ed il Sud, con differenze tra le macro-aree che raggiungono anche il 35 punti, e non vanno mai al di sotto dei 12.
Le regioni del Sud, inoltre, non solo hanno risultati più bassi, ma vedono aumentare anche la variabilità tra le scuole, che è maggiore di quella del Centro e del Nord; al Sud, quindi, è più netta la differenziazione tra scuole di serie “A” e scuole di serie “B”. E, se questo può essere giustificato in seconda secondaria di II grado (il sistema si articola in licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale), lo è meno per la terza secondaria di I grado, dove la struttura organizzativa e gli obiettivi di apprendimenti per il curricolo sono gli stessi.
Stando a questi dati, si può dire che il Sud e le regioni insulari siano meno capaci di assicurare uguali opportunità di apprendimento a tutti gli studenti.
Un altro aspetto che riflette i divari territoriali della nostra penisola riguarda l’immancabile e noto fenomeno del “cheating”, cioè quell’insieme di comportamenti opportunistici spinti dalla volontà di fare “bella figura” e che porta docenti ed allievi a tradire l’esecuzione corretta dei protocolli di somministrazione. Le procedure di elaborazione dei dati riescono a stimare l’entità del fenomeno, che ha ricadute su più dimensioni, educative, istituzionali, di equità e di tipo tecnico, legato all’elaborazione dei dati. La stima del fenomeno è legata ad un metodo di calcolo statistico che in passato è stato oggetto di critica (numerosi i casi di falsi positivi), ma che ora, stando all’Invalsi, è stato ulteriormente migliorato.
Nel Rapporto, il “cheating” emerge solo nelle classi campioni all’esame di Stato, dove a vigilare sulla correttezza delle prove è il presidente di commissione (e non un somministratore esterno). Anche in questo caso, benché il fenomeno sia in calo rispetto al passato, le regioni del Sud hanno un primato negativo, con un permanere di comportamenti anomali negativi in Puglia, Calabria e Sicilia e con una maggiore connotazione come “teacher cheating” (cioè con un ruolo attivo dei docenti).
Un intero capitolo è dedicato a calcolare il “valore aggiunto” delle scuole, altrimenti detto effetto-scuola, un indice che intende calcolare l’efficacia della scuola, avendo sottratto negli esiti il contributo del contesto sociale e culturale di provenienza e il contributo della scolarità precedente; in altre parole il valore aggiunto di una scuola può essere positivo, nullo e negativo se in quelle scuole gli studenti hanno conseguito risultati rispettivamente migliori, pari o peggiori rispetto a quello di scuole con studenti che presentano caratteristiche simili sotto il profilo socio-demografico e del livello di preparazione pregresso. Anche in questo caso le differenze territoriali sono ampiamente riprodotte: nelle regioni meridionali e nelle isole la percentuale di scuole con valore aggiunto negativo è indubbiamente preoccupante.
Il rapporto merita dunque un’attenta lettura ed un’analisi approfondita dei dati proposti. Negli anni emergono miglioramenti sul sistema scolastico italiano in termini di equità e di qualità della formazione dei nostri studenti, ma il miglioramento è ancora troppo timido. In particolare, permangono ancora differenze troppo marcate tra il Nord ed il Sud del Paese, sia sui risultati degli apprendimenti che su alcune prassi scolastiche, differenze di cui la politica dovrebbe farsi carico con interventi che diventano quanto mai urgenti e necessari.