In questi giorni impazzano discussioni sulla chiamata dei supplenti nelle scuole, sulla formazione delle graduatorie di istituto e sull’inizio regolare del prossimo anno scolastico. E’ una musica che suona da ormai cinquant’anni e che nessuno riesce — perché non vuole — cambiare davvero.

Anzi, l’idea mostruosa della graduatoria e del concorso nazionale non solo nella scuola ma per tutto il pubblico impiego è apparsa due settimane fa sulla stampa dove si lodava, in base ad un decreto Madia, l’abolizione dei “concorsini” e l’istituzione di concorsoni unici per i ministeri. L’articolista del Corriere della Sera affermava che il vero grande cambiamento avverrà quando in tutti i livelli dell’amministrazione, comuni, province, regioni e stato avranno solo concorsi e graduatorie nazionali.



La cosa è passata sotto silenzio ma evidentemente, senza clamori, la tentazione vetero-meridionalista che non cerca sviluppo ma posti statali continua a lavorare nell’ombra e sogna di mettere le mani proprio su tutto, tutto il pubblico impiego (ma forse sogna perfino una graduatoria nazionale dei posti nelle aziende private).



Un anno e mezzo fa scrissi un articolo dove indicavo la via per trasformare le supplenze in un passaggio non più dannoso ma perfino utile al sistema scolastico. Proponevo l’esternalizzazione delle supplenze e cioè l’eliminazione della chiamata e l’assunzione del supplente da parte della scuola. La supplenza potrebbe essere affidata ad una società o una partita Iva esterna retribuita a fattura come fanno già ora i comuni col personale educativo o quello delle mense.

Scrivevo allora: “Il supplente dovrebbe essere un normale laureato che, assunto da una cooperativa di servizi o agendo tramite una personale partita Iva, erogherebbe nella singola scuola la supplenza emettendo una fattura al termine del servizio. La scuola pagherebbe le supplenze con normalissimi mandati di pagamento senza oneri previdenziali, contabilità complicate e fascicoli personali sempre crescenti ed ingombranti. In breve tempo si creerebbe, all’esterno della pubblica amministrazione e senza gravare su di essa, un mercato del personale docente al quale si affaccerebbero immediatamente e facilmente tutti i laureati. Il  rapporto vero e concreto con la realtà scolastica sarebbe un momento di verifica personale per coloro che intendono davvero fare gli insegnanti e cercano conferme ad una generica vocazione. Allo stesso tempo sarebbe di forte dissuasione per coloro che non hanno alcuna tensione e capacità educativa e didattica per i quali non avverrebbe in alcun modo la nascita di ‘diritti acquisiti'”.



?La mia proposta fu rilanciata da un giornale sindacale scolastico on line molto diffuso che la riportò ?integralmente con una premessa: avremo il coraggio? 

Evidentemente il coraggio non c’è, anzi continua la spinta enorme e implacabilmente caotica della mano nazionale su tutti i posti pubblici che ha già soffocato la scuola e così soffocherà anche quel poco di regionale, comunale e provinciale che ancora funziona.