Per la prima prova dell’esame di Maturità 2017 è stata proposta, insieme ad altre tracce, l’analisi d’una poesia di Giorgio Caproni, Versicoli quasi ecologici, tratta dalla sua ultima raccolta, Res amissa, pubblicata postuma nel 1991. Il testo, di squisita ed elegante fattura al di sotto della chiarezza e apparente semplicità, risale all’inizio degli anni settanta, e, come documenta l’edizione critica, fu oggetto di correzioni e revisioni per quasi due decenni, fino alla stesura definitiva del 1988. Ricavandosene subito che l’incanto dimesso e dolcissimo della lirica, quasi straziante nel suo appello all’amore per il creato, fu il risultato di un protratto labor limae, dal momento che, come già aveva mostrato e dichiarato Saba, nell’arte — e nella vita — niente è più difficile della facilità, e la naturalezza cristallina è sempre il risultato in un faticoso percorso d’educazione, interiore ed esteriore.



L’autore, Giorgio Caproni, appartiene da tempo al cosiddetto “canone” della letteratura contemporanea, e la sua presenza nelle antologie destinate alle scuole superiori risale all’inizio degli anni novanta, se pure con importanti oscillazioni quantitative a seconda del gusto e della sensibilità dei compilatori. Che molti studenti e taluni docenti siano dunque stati sorpresi dalla scelta ministeriale dipende dalla diffusa difficoltà — nell’insegnamento, liceale ma anche universitario — a giungere fino ai rami estremi, ai risultati ultimi di una tradizione lunga e complessa quale quella italiana. Ed è un vero peccato, perché poesie come quella di Caproni davvero possiedono la capacità d’innamorare il lettore, restituendogli il valore performativo dell’esperienza letteraria, che, toccandoci nel profondo, aiuta a sviluppare uno sguardo etico e critico sulla realtà. Come dimostrano infatti i numerosi sondaggi apparsi online, al di là dello stupore e dello sconcerto iniziali, i Versicoli quasi ecologici sono stati i”protagonisti” della Maturità 2017. 

E ora? Ammettiamo che qualche studente o qualche semplice lettore, affascinato dalla poesiola di Caproni, per curiosità decidesse di dedicare qualche ora dell’estate che rimane alla lettura d’altri autori in versi del “nostro” e non di un “altro” tempo. Che cosa gli si potrebbe raccomandare, senza troppo timore di deluderne le aspettative? Sappiamo bene come, in verità, le predilezioni più autentiche siano sempre, e solo, il frutto di un incontro personale, di una convalida interiore senza interposta persona; eppure con gli amici come con i libri un invito iniziale può talvolta essere determinante, e a chi abbia avuto il piacere di una folgorazione compete poi la responsabilità della testimonianza. Ecco allora due piccoli, sommessi suggerimenti, presi tra le proposte editoriali più recenti, che aiutino, con un solo libro, a percorrere un lungo tratto della storia poetica italiana novecentesca. 

Si aprano, a caso, Tutte le poesie di Giovanni Raboni, uscite a cura di Rodolfo Zucco da Einaudi nel 2014: o, meglio ancora, si vada subito ad ascoltare la voce stessa di Raboni, così intensa e trepida e partecipe, che legge alcuni suoi testi, per esempio dalla raccolta Quare tristis, edita nel 1998 (cf. www.giovanniraboni.it). Il titolo del libro viene, naturalmente, dal salmo 42 (Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me?), e porta con sé una scrittura poetica volentieri declinata nelle forme dell’implorazione, del desiderio, dell’appello, nella misura in cui il soggetto si scopre vivo, si riconosce uomo solo tramite il rapporto con un “tu”, che valga a scongiurare e limitare la forza oscena e raggelante del buio, del niente. Ci sono, in questa raccolta, i temi di sempre, in uno stile intenso e fragrante che potrà dischiudere, al più giovane fruitore, nuove frontiere del dire: la gioia e il dolore, la vita e la morte, l’amicizia e l’amore, le vittorie e i fallimenti … ma soprattutto qui spicca, al cospetto dei tanti cari che sono scomparsi, la rappresentazione dell’esistere come prova e come cimento per il cuore, chiamato — nonostante tutto — a non smettere di sperare, di fiorire

La lettura è la forma più autentica di onore che si possa rivolgere a un poeta, che, in fondo, non chiede altro che l’ascolto, la condivisione dei suoi incantesimi verbali, affinché quelle tracce nere, sul bianco della pagina, si tramutino in energia. Nel 2015 Mondadori ha pubblicato Tutte le poesie di Giorgio Orelli, a cura di Pietro De Marchi, e il volume costituisce la preziosa occasione per scoprire, o riscoprire, un autore che ebbe il privilegio di essere tenuto a battesimo, letterariamente, da Gianfranco Contini. Casto e iperletterario, sobrio e manieristico al tempo stesso, Orelli distilla poesie come indovinelli o epigrammi, come araldiche istantanee d’un privato album di famiglia (lo si ascolti leggere In memoria, all’indirizzo www.giorgioorelli.com). Il lettore, a priva vista, potrà forse sentirsi respinto come un intruso, ma, pazientando, apprenderà gli strumenti necessari — come recita un endecasillabo di L’ora del tempo (1962) — “a un più discreto amore per la vita”: la memoria, gli affetti domestici, l’ironia, il senso dei luoghi … Non c’è tesoro più grande che la realtà, e tutta la poesia di Orelli è nata da quella: per coglierne, in ogni istante, la segreta preziosità, stappandoci dalla morsa, sempre incombente, della banalizzazione.