L’apparentemente coraggiosa dichiarazione del ministro Fedeli secondo cui “I sindacati? Devono imparare che la scuola non serve a creare posti di lavoro, ma a formare i giovani” mi ha indotto ad esaminare accuratamente tutte le ulteriori dichiarazioni della sua recente intervista al sussidiario.

Erasmus per tutti con la conseguenza di avere in pochi anni una nuova classe dirigente italiana e mondiale, skills (abilità) nuove per tutti, docenti superformati che salvano gli ultimi ed eliminano i Neet (giovani passivi senza studio né lavoro), un’economia più umana e attenta ai problemi formativi, formazione umanistica tradizionale ma anche sviluppo della cultura scientifica, miglioramento ed ampliamento dei contenuti nella necessaria revisione dei curricoli.



Nell’intervista del ministro Fedeli (che tra alcuni mesi probabilmente non ci sarà più) c’è tutto il sapore classico dell’utopismo cosmico che da anni copre l’assoluta inefficienza della scuola italiana, amministrata dal sindacato e protesa solo all’aumento del numero dei docenti e del gigantesco curricolo degli alunni. 



E’ un classico della doppiezza camaleontica della Cgil fare il sindacato-non sindacato, cioè coprire di slogan e nobilissimi sogni sociali e politici generali la continua penetrazione a tutti i livelli nel governo del sistema scolastico e nella delegittimazione della normale catena di gestione che dal ministero dovrebbe arrivare ai presidi ed occuparsi del buon funzionamento delle scuole. In questa pratica sono davvero maestri. 

Sulle cose invece di cui il ministro dell’Istruzione dovrebbe occuparsi con urgenza, leggiamo cose che lasciano a bocca aperta. A domanda su quando si riuscirà a gestire in modo ordinato l’assunzione in ruolo del personale docente, il ministro risponde che “Il problema è drammatico perché abbiamo accumulato storicamente diversi modelli di ingresso. In prospettiva, ciò che darà un taglio netto al passato è il nuovo reclutamento”. E poi: Quanto tempo ci vorrà per smaltire la varietà di modalità di ingresso nella scuola? Risposta: “2-3 anni”. Chi ha letto l’intervista di primo mattino, avrà notato che la risposta del ministro Fedeli non era stata questa. I 2-3 anni erano… 20-30! Un errore di battitura, oppure una voce — quella della drammatica verità — “dal sen fuggita”, ma prontamente rettificata dalle stanze di viale Trastevere?



Sul problema del diploma in 4 anni e della riduzione delle ore di scuola annuali come avviene in gran parte dei paesi d’Europa, va ancora peggio: vaghezza e ripresentazione del sogno espansivo, cioè l’obbligo scolastico esteso fino a 18 anni per tutti: “Si si può e si deve innovare anche aumentando i contenuti curricolari. Una rivisitazione complessiva dei cicli ha una sua logica. Dovremo pure arrivare all’obbligo fino a 18 anni, no?”.

Quindi la vera idea del ministro è l’ampliamento sia del curricolo annuale che totale e dell’obbligo scolastico. E’ il rilancio del tempopienismo, cioè della deleteria e costosissima filosofia che vuole i giovani tutti gestiti a tempo pieno dallo stato. Su questa filosofia si sono uniti, nel tempo, gli utopisti egualitaristi e i fautori dell’abnorme incremento dei posti statali. I primi, frangia ideologica oggi in via di estinzione dopo i gloriosi anni “caldi”, sono quelli che vorrebbero in tal modo ridurre l’effetto, deleterio secondo loro, della famiglia (che agendo sulle idee e sul livello di vita dei figli riprodurrebbe le diseguaglianze sociali). I secondi, che hanno storicamente preso il sopravvento, sono tutti i fautori dello statalismo: usare la macchina statale per generare assunzioni, senza curarsi dei costi. In primo luogo la Cgil, vera maestra di metodo, con gli altri sindacati del pubblico impiego a fare da contorno.

La forza gigantesca di questa coalizione domina il funzionamento del Miur da più di 40 anni e non mostra alcuna intenzione di cambiare rotta. Il gioco di chi vola più in alto sopra la palude sembra il passatempo preferito dall’intellettualità scolastica, che appare sorda ad ogni argomentazione razionale, ad ogni bilancio sincero dei risultati raggiunti e dei fallimenti, ad un esame dello stato reale del sistema.

Forse solo il crollo della finanza pubblica in continuo, crescente deficit potrà mettere fine al tragico carosello.