LIPSIA — Mentre in Italia regnano ancora incontrastate le ferie scolastiche, nella Sassonia-Anhalt studenti ed insegnanti si trovano già nella quarta settimana del nuovo anno scolastico. Nei miei corsi di filosofia, prima di cominciare con la “storia della filosofia”, faccio sempre una lezione iniziale in cui cerco di esprimere i pensieri sui quali rifletto giorno per giorno. Quest’anno mi sono ispirato ad un video dell’Associazione Antonio Rosmini di Padova in cui Massimo Borghesi affronta il tema del tempo nell’undicesimo capitolo delle Confessioni di Agostino e ad un articolo de La civiltà cattolica sullo stesso tema (Quaderno 4011-4012, 2017): “Nel 1905 Edmund Husserl, inaugurando un ciclo di lezioni Sulla coscienza interna del tempo, dichiarò che le riflessioni sul tempo sviluppate da sant’Agostino nel libro XI delle Confessioni restavano insuperate. Così come restava intatta la validità dell’affermazione relativa al tentativo di definire esattamente la natura del tempo: ‘Si nemo a me quaerat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio‘ (se nessuno me lo chiede lo so, ma se voglio dare ragione a chi me la chiede, non lo conosco).
Nel video, andato in onda il 25 e il 26 luglio di quest’anno nel quadro della manifestazione “L’angolo della poesia” che si tiene ogni anno a Pesaro, guidata da Giuseppe Saponara, Borghesi fa un riassunto ragionato molto chiaro dell’undicesimo capitolo delle Confessioni inquadrandolo nelle polemiche contro i manichei di allora e nella ricezione dei sui pensieri anche in pensatori del ventesimo secolo come Husserl e Bergson. In modo sintetico si può dire che il tempo per sant’Agostino è un avvenimento all’interno dello spirito umano. Proprio questa sua percezione “soggettiva” (non arbitraria) del tempo rende il pensiero di Agostino estremamente attuale. Nella mia lezione iniziale ho cercato di spiegare ai miei allievi, richiamandomi al grande libro di Martin Heidegger Sein und Zeit, che cosa siano l’essere e il tempo.
Nella prima parte della mia lezione relativa all’essere ho posto la domanda che von Balthasar ha ripreso alla fine dei volumi filosofici di Gloria: “perché c’è qualcosa invece che niente?”. Ho fatto notare ai ragazzi che la domanda qui posta non è equivalente alla domanda: “perché c’è tutto invece che niente?”. Quest’ultima domanda se la può porre solamente Dio. La nostra domanda invece ci vuole far riflettere sull’essere di qualcosa che è finito: perché vi è Giovanna o il tiglio nel giardino invece che nulla?
Per spiegare ai ragazzi cosa intendevo ho detto che non stavo ponendo una domanda analitica, ma una questione che voleva far sorgere in noi lo stupore per quel qualcosa o qualcuno che stiamo contemplando. Ecco il mio esempio: considerate, o detto ai ragazzi, la differenza tra il dare un bacio ad una ragazza o ad un ragazzo pieni dello stupore per la sua esistenza o dargli o darle un bacio per ottenere la soddisfazione di un mio bisogno ormonale.
Ecco, la domanda di Balthasar ci conduce a questo stupore originale dell’uomo quando è sorpreso dalla non ovvietà che ci sia quel qualcuno a cui do un bacio invece che nulla, o dalla preferenza che una determinata persona mi dà amandomi o ascoltandomi. Ferdinand Ulrich, un filosofo tedesco con cui Balthasar si confronta nel tomo filosofico citato, dice che vi è un “medesimo uso della parola essere e nulla”. Il nulla di cui parla non è però il nulla nichilista, ma il nulla dell’amore gratuito che rivela il linguaggio quando al nostro ringraziare per un dono o una cortesia ricevuta ci suggerisce come risposta: “non fa nulla”.
In un certo senso questo medesimo uso delle parole essere e nulla vale anche per il tempo. La natura autentica ed intima del tempo (non quella misurabile da un timer) è in sé nulla, è solo “in animo” dice Agostino (come ha rivelato Husserl). Possiamo parlare delle tre dimensioni del tempo: passato, presente e futuro solamente parlando di quegli organi nell’animo umano che ci permettono di percepirle. L’attesa per il futuro, l’attenzione per il presente e la memoria per il passato.
Nella frase di Goethe scelta per il Meeting di Rimini appena concluso si possono vedere bene tutte e tre queste dimensioni: “Quello che tu erediti dai tuoi padri (passato), riguadagnatelo (presente), per possederlo (futuro)”. Senza memoria non si può ereditare nulla dai nostri padri o dalle nostre madri, senza attenzione nel riguadagnarmi ciò che ho ereditato l’eredità stessa diventa solo formalismo che non è fecondo per il futuro.
Agostino nel libro XI mette in relazioni le tre dimensioni del tempo in modo secondo me ancora più geniale. È proprio l’attesa o la speranza per il futuro il primo passo che mette in moto il nostro spirito in modo che il presente non sia dispersione del dono dell’essere (c’è qualcosa invece che niente), ma una reale attenzione a che il dono dell’essere ci venga incontro come sorpresa e gioia, proprio perché lo attendiamo ora. Questa attesa del futuro genera il presente come attenzione, un’attenzione che non si perde nella velocità inafferrabile del passare del presente, ma diventa memoria di ciò che si è atteso con quella virtù piccola (Charles Péguy), ma indispensabile, che è la speranza. Già la frase di Goethe è un invito a superare ogni formalismo tradizionalista, ma la proposta di Agostino è in un certo senso ancora più rivoluzionaria perché annuncia come motore che unisce le tre dimensioni del tempo ciò di cui il nostro tempo ha bisogno più dell’aria che respira: la speranza nel futuro! Tutti hanno perso la speranza, dice Walker Percy, nel suo grande romanzo La sindrome di Tanatos, ma proprio di questa abbiamo bisogno se non vogliamo finire in una disperazione che ci ucciderà.
Chissà che questo articolo, che in Italia forse verrà letto in spiaggia, non possa ispirare le persone che hanno ancora desiderio di comprendere la natura delle cose, anche e soprattutto dell’essere e del tempo, e magari qualche collega per una sua possibile ora di filosofia.