Tra gli interrogativi che affollano il panorama scolastico in questo inizio d’anno non pochi ruotano attorno al tema dell’adeguatezza o meno del nostro sistema formativo rispetto alle esigenze di questa epoca. In particolare, quella che sembra essere più inadeguata è la preparazione scientifica dei nostri studenti, che continuano ad essere penalizzati nei test e nelle classifiche internazionali relative alla matematica e alle scienze. Una preoccupazione che si aggrava se si considera l’aumento di preferenze dei giovani per gli studi scientifici: negli ultimi tempi infatti si sta invertendo la tendenza che vedeva in calo le iscrizioni alle facoltà scientifiche e tecniche e, anche a livello delle scuole secondarie superiori, i dati più recenti indicano il liceo scientifico come quello più gettonato. Sarebbe interessante capire quali fattori stanno giocando in queste dinamiche: se siamo di fronte a un reale incremento della passione per un tipo di conoscenza, o se è un effetto indotto da un contesto dove cresce il ruolo della tecnoscienza, o se una professione tecnico-scientifica è vista come una prospettiva di maggior successo. Forse è un mix di tutto questo. Resta comunque l’interrogativo circa la possibilità che i ragazzi che si aprono alle scienze trovino un’offerta formativa all’altezza delle aspettative e che tale offerta risponda al desiderio di conoscere il mondo, che è di tutti.



Verrebbe subito da pensare che si tratti di una questione specialistica, settoriale, che riguarda unicamente gli insegnanti di queste discipline e che si risolve intensificando le attività di aggiornamento e potenziando la dotazione di strumenti disponibili, dai laboratori ai software più avanzati; insomma, nulla che possa coinvolgere la scuola nel suo insieme e che debba trovare spazio nelle numerose riunioni collegiali in programma in queste settimane.



A nostro avviso la strada dell’educazione scientifica è un’altra; e ha come criterio base l’affermazione e la continua riscoperta del “valore educativo delle discipline scientifiche” (questo, tra l’altro, è stato il tema di un incontro proposto nella giornata dedicata alla scuola al recente Meeting di Rimini nello spazio “What? Macchine che imparano”). Analizzare un fenomeno naturale, condurre un esperimento, risolvere un problema di matematica, progettare un meccanismo, non sono pure procedure ripetitive alle quali addestrarsi così da padroneggiarle tecnicamente; indicano piuttosto il modo col quale è possibile dialogare con la realtà naturale, ci introducono al linguaggio adatto per leggere, descrivere e tentare di comprendere i fenomeni. 



Le azioni appena citate — e altre che si possono indicare — chiamano tutte in causa la persona nella sua unitarietà, sviluppano alcune dimensioni che le consentono di entrare sempre più e meglio in relazione con la realtà. Saper osservare con attenzione, misurare con precisione, afferrare sfumature e dettagli, cogliere indizi, stabilire analogie, affinità e somiglianze, individuare nessi, costruire modelli, argomentare, inferire: sono il menù quotidiano della vita dello scienziato e, analogamente, possono diventarlo per lo studente, per “ogni” studente: non ci vuol molto infatti a capire che non si tratta di un decalogo per addestrare scienziati in erba bensì di un potente contributo alla crescita di personalità aperte e ragionevoli.

Così pure, venire in contatto con l’insieme delle conoscenze che nel tempo sono state acquisite non è, o non dovrebbe essere, pura erudizione, puro aumento quantitativo di sapere ma presa di coscienza di cos’è il mondo nel quale siamo immersi, consapevolezza crescente della grandezza, della bellezza, della straordinarietà di ciò che incontriamo ogni giorno e che gli strumenti oggi disponibili ci permettono di incontrare in modo sempre più pieno e affascinante.

La convinzione di queste valenze e di queste potenzialità non può essere patrimonio esclusivo dei docenti di scienze e manifesta la sua efficacia educativa, ma anche strettamente didattica, solo se è condivisa, se stabilisce il clima culturale della scuola, l’humus nel quale le singole conoscenze e competenze specialistiche possono attecchire e dare frutti.

Dal canto loro i docenti di scienze hanno il compito di rendere viva, continuativa e personale un’esperienza di conoscenza così come l’abbiamo qui brevemente tratteggiata (e come si può trovare ben documentata e fondata nelle pagine di Emmeciquadro). Attivando una modalità di lavoro in classe lontana dai due estremi che sono purtroppo i più praticati: da un lato limitarsi a fornire input, a predisporre un ambiente di apprendimento nel quale si esercita l’autonoma iniziativa dello studente lanciato in solitaria ad esplorare la realtà; dall’altro limitarsi a trasmettere agli studenti, ricettori passivi, un arido bagaglio di conoscenze, offrendo tante risposte senza che qualcuno abbia posto le domande.

La parole di Goethe che hanno ritmato le giornate del Meeting di Rimini possono dare una preziosa indicazione metodologica a chi è impegnato nell’insegnamento scientifico: quella poderosa sequenza di formule, leggi, modelli, teorie è una preziosa eredità che però va riguadagnata e diventa significativa e utile solo se è fatta propria; e ciò vale in primis per gli stessi insegnanti. Del resto Goethe, oltre che letterato, era anche uno scienziato.