Asfissia. È proprio asfissia quella che si prova mentre gli insegnanti, nei giorni di settembre prima che cominci l’anno scolastico, pianificano e pianificano la vita dei ragazzi. Non si sa perché, ma il destino vuole che i loro pomeriggi siano occupati da: alternanza scuola-lavoro, certificazioni di inglese, progetti Pon, progetti Ptof, progetti lettura, corsi di teatro, cineforum, gemellaggi, scambi culturali, settimane della scienza, giornate dell’arte, open day, open night, esperienze di volontariato. Mi manca l’aria. E mentre uno dopo l’altro i colleghi si propongono come referenti per questi progetti, I have a dream: istituire un comitato per la salvaguardia dei cazzi propri degli adolescenti. Per difendere la loro vita da un esercito di donneprassede che pretendono di tracciare la strada degli altri, e tornare a una sana alternanza scuola-vita personale. 



Non metto in discussione che l’inglese sia indispensabile per il futuro, e che l’alternanza ci sia imposta per legge, e lo so anch’io che le tournée degli autori propagandati dalla Feltrinelli sono altissima letteratura, e che dentro ogni scuola si nasconde un X-Factor di attori, cantanti e giullari. Metto solo in discussione che la scuola voglia offrire risposte bellissime a domande che però nessun ragazzo le fa. 



Metto in discussione che non serve a niente conquistare certificazioni, esperienze e il mondo intero se poi uno perde se stesso. Insomma, prima bisogna guardare in faccia un ragazzo, poi intercettare le sue domande, e solo dopo fargli una proposta adeguata. Ora invece funziona al contrario: prima si prende il contenitore, poi lo si riempie di un contenuto, poi si impone a qualcuno di utilizzare quel contenuto. Esce il bando per ottenere i finanziamenti europei dei Pon, quindi bisogna fare un progetto x entro la data y, poi bisogna propinarlo ai ragazzi per esempio delle terze, visto che le quarte fanno già il progetto q e il progetto k. Gli insegnanti somigliano ad acquirenti che, gironzolando a vuoto per un supermercato, vedono un frigorifero portatile a un prezzo conveniente: che fai? non te lo compri? Dopo averlo acquistato, già che ce l’abbiamo, bisognerà pur riempirlo: compriamoci prosciutti e succhi di frutta e mozzarelle e angurie, e andiamocene in giro. Aspetta… chi se la deve mangiare tutta questa roba? 



Siamo sicuri che ingozzare gli adolescenti di attività serva davvero? Non rischiano l’obesità? Non perderanno la leggerezza? Anziché crescere forti, vomiteranno. E come te lo spiegheremo, fra qualche anno, che dopo tutta quest’alternanza non trovi lavoro e dopo tutte queste presentazioni di libri non hai voglia di leggere e che il tuo amico senza il B1 e che “non parla neanche bene l’italiano” fa più soldi di te? 

Ma anche senza voler fare le cassandre, ridiscutiamo il presente. E lasciamo ai ragazzi i pomeriggi: in cui possono studiare, per esempio. Bisognerà pur farlo, per non crescere deficienti. Ma proprio studiare studiare: senza che alle 16 si debba per forza tornare a scuola per la conferenza sull’argomento qualsiasi che assicura di non essere interrogati il giorno dopo. Lasciamoli studiare, senza sovraccaricarli: fuck off anche all’inglese. Che studino, e che abbiano il tempo di decidere con la loro testa se fare teatro o volontariato o calcio o violino o leggere o annoiarsi. La scuola con la sua ingerenza nei pomeriggi degli adolescenti assume una natura totalitaria: pretende infatti di diventare l’orizzonte assoluto della vita dei ragazzi, sforando dal suo recinto e imponendosi come una nuova Chiesa o una mamma surrogata. 

Io avrei più pazienza. Proviamo a fare bene il nostro mestiere la mattina. Se io insegno bene italiano, se guardo da uomo a uomo un mio alunno, può anche darsi che un giorno sia lui a domandarmi di vedere un film veramente bello, o che mi chieda un libro da leggere, o voglia andare a teatro, o mi racconti che quanto facciamo la mattina lo aiuta a mettere l’anima nella pallavolo o nel pianoforte. E allora, anche per uno solo (sì, per uno! non per un branco!), inviteremo un certo autore a presentare un libro, oppure organizzeremo un determinato corso, oppure formeremo una compagnia teatrale. Quando, insomma, qualcuno avrà fame davvero, allora andremo a comprare da mangiare, e poi cercheremo anche un frigorifero portatile. 

Non si può, mi dicono: è necessario organizzare le cose per tempo, trovare i fondi, partecipare ai bandi, scrivere progetti. Sì, ma a spiare i bisogni dei ragazzi, chi ci pensa? Non puoi coltivare un terreno in continuazione: mai sentito parlare di maggese? È miope bearsi della partecipazione coatta a qualche progetto senza aspettare che un terreno ritrovi la sua fertilità, che la radice di un’anima sia toccata, che un ragazzo faccia un primo passo da uomo libero. Due millenni non sono bastati per dare ragione a Plutarco: “i ragazzi non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere”.