La “questione vaccini” innescata dal dl 73 convertito nella legge 119 del 31 luglio scorso è giunta alla sua prima scadenza e, come era facile immaginare, ha provocato le prime reazioni a cui la stampa ha dato ampia risonanza.

Com’era altrettanto facile immaginare, puntualmente è stata la scuola a trovarsi nell’epicentro del contendere e con essa manco a dirlo i dirigenti scolastici, come vuole il copione, generalmente soli a fronteggiare il “protestante” di turno. 



Di solito si tratta del genitore “arrabbiato” per l’insegnante che c’è o che non c’è, per la valutazione assegnata o per quella che manca, per la nota o per la mensa; ora si aggiunge anche la categoria di chi, genitore, ha una diversa visione sui vaccini; e non importa se una legge afferma tutt’altro. L’importante, sembra, è aver trovato un terreno utile per ingaggiare la battaglia.



Certo la posta in gioco il 12 settembre era consistente: la frequenza o meno alla scuola dell’infanzia; alla prossima scadenza, il 31 ottobre, la questione assumerà probabilmente contorni meno clamorosi, perché non sarà messo in discussione l’accesso a scuola. Ciò nonostante non si prevede un minor impegno per i dirigenti scolastici. Molti colleghi hanno già ricevuto lunghe e documentate lettere di diffida all’inoltro dei dati a qualsiasi altra amministrazione…

E allora si impone la domanda: ma la scuola, e con essa i presidi, ha proprio bisogno di tutto questo?

La domanda è evidentemente retorica. Non c’era bisogno di tutto ciò sul piano organizzativo, ma ancor più sul versante del compito che la scuola è chiamata a svolgere.



Non siamo una società di servizi a cui appaltare (gratis) sempre più incombenze burocratiche. Non siamo una sorta di Equitalia per la “riscossione del vaccino”. Non abbiamo bisogno che su di noi si riversino le ire dei genitori per delle decisioni (la non ammissione a scuola, dopo averne accettato l’iscrizione) che nella legge non è ben chiarito a chi competano.

Il connubio scuola-vaccinazioni, per la verità, non è nuovo. Dopo quelle somministrate in tenera età, un tempo, tutte le altre avevano spesso come teatro i corridoi e le infermerie delle scuole. Ricordo ancora una graziosa e cordiale operatrice sanitaria che arrivava, convocava le classi coadiuvata dal medico, ripassava per recuperare gli assenti e anche, con molta discrezione, ricordava al sottoscritto allora docente che “sua figlia …ha in sospeso la vaccinazione”. Il tutto occupava una piccola parte della mattinata e in breve si tornava alla normalità. Con buona pace di tutti.

Ora: un andirivieni di genitori e faldoni che si stanno riempiendo di carta, nell’era della “semplificazione amministrativa” della “segreteria digitale”, della “trasmissione telematica della documentazione” fra amministrazioni. Tutte parole d’ordine che fanno venire l’orticaria alla mia efficiente Dsga (tradotto: direttore dei servizi di segreteria e dei servizi generali) che sperimenta quotidianamente quanto vane siano state le promesse di semplificazione e velocizzazione del lavoro contenute in quelle parole.

Conseguenza immediata: una segreteria già ridotta del 20 per cento che impegna un ulteriore 20 per cento per questa brillante operazione. Al termine della quale in ogni caso occorrerà far pervenire all’amministrazione sanitaria buona parte della documentazione, perché nessuno a scuola potrà decidere se la fotocopia del tesserino depositata contiene tutte le vaccinazioni prescritte o no, oppure per capire se la fotocopia della raccomandata consegnata corrisponda effettivamente ad un appuntamento per vaccinazioni; eccetera eccetera.

E qui si raggiunge l’apoteosi burocratica: la scuola raccoglie dalle famiglie informazioni sanitarie, perfettamente note alle Asl, per poi riconsegnarle allo stesso sistema sanitario che a sua volta dovrà restituire alla scuola qualche informazione, probabilmente, con cui il dirigente scolastico, per esempio, potrà riammettere un alunno alla scuola dell’infanzia o, come prescrivono le note Miur degli scorsi giorni, decide come ripartire nelle classi gli alunni che non sono stati vaccinati e i cui genitori pervicacemente resistono in tale decisione.

Perché allora di tutta la partita non si è incaricato il servizio sanitario che tra il resto ha titolo in casi di epidemia a decretare sulla frequenza in contesti di comunità? Perché non si è risolto il tutto in un passaggio di elenchi da ogni singolo istituto all’amministrazione sanitaria, titolata per richiamare gli inadempienti al loro dovere (come l’operatrice di cui sopra)?

Perché questo passaggio di informazioni tra istituzioni sarà possibile solo fra due anni e non ora? 

Su tutte queste domande aleggia un’altra parola d’ordine tombale: “privacy”, che associata a “Garante della” raggela qualsiasi tentativo di azione come gli stridii dei Nazgul sulla desolata Terra di Mordor. In effetti la nota congiunta Miur e ministero della Salute recita che “la scuola trasmetterà all’Asl … la documentazione ai fini della verifica della regolarità … nel rispetto della normativa della privacy“. E qui siamo nel buio più fitto. Cosa dovremo fare di tutta quella carta per rispettare la privacy? Come inviarla? A chi? (dalle Asl nessun segnale). E soprattutto in che forma? Ma se l’Asl conosce lo stato dell’arte di ciascuno rispetto alle vaccinazioni (rilascia i certificati!) dove sta il problema della privacy? Appunto, paralisi! Proprio mentre la scuola è iniziata e occorre colmare i buchi di organico, rassicurare le famiglie sull’arrivo della supplente e che questa sarà definitiva, fare in modo che i nuovi docenti si inseriscano positivamente dentro il quadro progettuale della scuola … e finalmente guardare in faccia gli alunni, accoglierli e accompagnarli nella loro avventura del diventare grandi.

Principalmente per questo la scuola non aveva bisogno di una complicazione in più. Per accompagnare ciascuno dei nostri alunni occorre inevitabilmente costruire un’indispensabile alleanza educativa con le famiglie, ancorché inadempienti su qualche altro particolare della vita.

Iniziare con una discussione da “bar sport” non aiuta a costruire alcunché.

La costruzione di quest’alleanza già piuttosto complessa e delicata oggi, ha bisogno di disponibilità libera da pregiudizi, di reciproco ascolto e di incremento paziente della fiducia. Ogni istante sottratto alla costruzione di questo rapporto o peggio dedicato alla sua demolizione è tempo sprecato, inefficace e divergente rispetto al compito.

A ciascuno il suo compito; le commistioni producono danni e spesso neppure raggiungono lo scopo.