La scuola italiana ha bisogno di “buone pratiche” che agiscano molecolarmente nel tessuto scolastico quotidiano attraverso la paziente azione degli insegnanti e producano quel miglioramento di cui tanto si parla che può essere certamente aiutato, ma non surrogato, dagli adempimenti previsti dai regolamenti normativi. Un ottimo esempio di “buone pratiche” è rappresentato dal volume di Raffaella Paggi, Maria Grazia Fertoli e Anna Maria Pedacchiola recentemente apparso con le edizioni Itaca (Alla ricerca degli essenziali, pp. 176) dedicato a ciò che è “essenziale” nella scuola, con particolare riferimento all’insegnamento/apprendimento dell’italiano e della matematica nel ciclo primario. 



Lo scopo del libro è quello di tracciare un compiuto e graduale itinerario, pedagogico e didattico, attraverso il quale promuovere le primarie conoscenze/competenze (quelle “essenziali”, vedremo più avanti come questo aggettivo vada inteso) necessarie per sostenere un ingresso degli alunni nella realtà, aiutarli al confronto critico con la virtualità e proseguire in modo proficuo il successivo iter di studi. 



Il filo che tiene insieme il volume — come indicano le autrici — è il cosiddetto “curriculum a spirale” suggerito da Jerome Bruner negli anni 70 e tuttora valido: “Sono convinto — scriveva Bruner — che per l’insegnamento di un argomento si debba partire da una spiegazione intuitiva che sia pienamente alla portata dello studente, per poi risalire con moto circolare a una spiegazione più formale e più strutturata, finché, con tutti i passaggi che possono risultare necessari, l’allievo abbia capito l’argomento o la materia in tutto il suo potere generativo”. Questi tre passaggi corrispondono a tre principali momenti della crescita scolastica: i primi anni della scuola primaria, il biennio terminale di quest’ultima e il triennio dell’ex scuola media che corrispondono precisamente ai tre percorsi indagati dalle autrici per ciascuno dei quali vengono precisati obiettivi, contenuti, metodologie efficaci.



Ci sono diverse ragioni per leggere e apprezzare il volume. La prima è che il testo è ricco di esemplificazioni, suggerimenti, proposte che restituiscono alcune “buone pratiche” riguardanti le due discipline così basilari nella formazione degli alunni del primo ciclo scolastico. In controtendenza con i sontuosi discorsi impegnati a pontificare su “cosa si dovrebbe fare”, le autrici, con indubbio spessore professionale, dicono “cosa si può fare” sulla base della loro esperienza. Da queste proposte gli insegnanti possono trarre spunti importanti per la messa a punto di un curricolo adeguato.

Una seconda ragione sta nel fatto che, senza rinunciare all’impiego dell’espressione “competenza”, essa viene tuttavia intelligentemente sottratta all’impiego funzionalistico e valorizzata nella prospettiva che “l’esperienza scolastica possa contribuire a rispondere al bisogno di significato e di conoscenza che contraddistingue appunto la persona, essere dotato di ragione e libertà, caratterizzato da desideri e aspirazioni infinite” (p. 11). Nel tenersi prudentemente lontane dall’efficientismo didattico e tecnologico e sempre guardando alla scuola come un luogo di introduzione alla realtà mediante il linguaggio della cultura, la competenza, detto in altro modo, non è traguardata in funzione delle aspettative economico-lavorative come spesso accade dietro la spinta dell’utilitarismo dei documenti europei. 

Essa viene piuttosto situata, sulla scia di una osservazione di Eddo Rigotti, all’intreccio tra cultura ed educazione: “Cultura ed educazione sono la stessa cosa: la cultura è quella comunicazione che realizza il significato della presenza dell’uomo sulla Terra, dando valore a questa presenza attraverso le diverse generazioni; l’educazione è una trasmissione del significato della vita che diventa modalità anche del vivere e del convivere”. 

La terza e più importante, a mio avviso, utilità del libro sta nella riflessione sull’essenzialità che dovrebbe connotare la vita scolastica. L’espressione “essenziale/essenzialità” non corrisponde — come potrebbe essere tentato di fare un lettore distratto — a “semplificato/semplificazione”, ma intende piuttosto indicare ciò che irrinunciabilmente la scuola dovrebbe assicurare: d’un lato il senso compiuto di una disciplina (Bruner direbbe la sua struttura) da sola e nelle sue relazioni con altre discipline, dall’altro ciò che davvero è indispensabile all’alunno per il successivo percorso di vita e di studio. 

Le proposte “essenziali” delle tre autrici rappresentano un modello curricolare interessante perché dimostrano come la scuola se non può dare tutto — specie oggi di fronte all’oceano di sapere disponibile in rete — può tuttavia fornire gli strumenti culturali indispensabili e favorire esperienze conoscitive per strutturare le categorie logiche e di pensiero che permettono di comprendere la realtà, di aprirsi ragionevolmente ad essa e di riconoscerla come luogo e contenuto della conoscenza. In tal modo la scuola può assumere una funzione non solo formativa ma educativa, “portando i ragazzi a immedesimarsi nei contenuti proposti, cioè a farne esperienza e a giudicarli, a vagliarne l’attualità e a valutarne il nesso con la propria persona, sollecitando tutti e ciascuno a mettere in campo la libertà e l’intraprendenza” (p. 20).