Le superiori di quattro anni potevano anche essere una bella cosa, un sogno quasi, capace di strapparci dallo scenario distopico cui le ultime convulsioni del sistema scolastico ci hanno inchiodato: ragazzi nel pieno delle loro forze fisiche e intellettuali strappati all’impegno serio un giorno sì e l’altro pure per partecipare a progetti e progettini, tutta roba breve e leggera, spesso vagamente psicologica, ancor più vagamente formativa; per rincorrere esperienze di alternanza spesso improbabili; in generale per fare “esperienza” — come se lo studio non lo fosse, esperienza, e con le sue leggi, dure e inflessibili (ma già, su questo, invece, guai a non avere il massimo della flessibilità, guai a non scontare qualunque cosa!).
Una buona occasione per dare un taglio a patetiche scene in cui laureati, spesso di età quasi veneranda, pagati per insegnare cose difficili e che non tutti sanno, passano per via a testa bassa, a fianco di scolaresche spumeggianti cui, per quella mattina, non dovranno insegnare nulla ma che dovranno semplicemente “assistere”, mentre queste faranno qualcosa d’altro — e te li senti sulla pelle, allora, anche se non nelle orecchie, i commenti di chi ti vede passare: “Ma perché li paghiamo, questi? Per fare passeggiate?”. E poi, soprattutto, o sogno! veder scomparire quella che è un’autentica vergogna nazionale, quell’anno all’estero tramite il quale, spendendo qualche migliaio di euro e trovando un buco qualunque fuori d’Italia in cui andare a far niente, si salta automaticamente una classe! Quattro anni di scuola, in cui si fatica e si impara, e poi liberi tutti: chi vuol studiare studi, chi vuol lavorare lavori, chi vuol fare il grand tour faccia il grand tour!
Ma il sogno è durato poco. Durante l’estate il ministro, richiamandosi a Berlinguer e all’esigenza di abbreviare il curriculum per tutti, ha chiarito che la sperimentazione sarebbe stata limitata per ora a cento classi sul territorio nazionale, ed ha poi raccomandato che queste fossero formate da alunni “motivati”.
E qui già le acque si confondono. Lasciamo perdere i pur numerosi dubbi suscitati dalla parola “motivati”, quantomeno ambigua: motivati a che? A studiare di più o a tagliare la corda più in fretta? Non approfondiamo e prendiamo l’aggettivo per quello che con ogni probabilità il ministro voleva fargli dire: “motivati” cioè “bravi”.
Dunque, una sperimentazione condotta con gruppi di primi della classe, senza Bes, senza Dsa, senza alunni che sanno poco l’italiano, perfino senza comuni lavativi. E qui si sprofonda, perché il sottinteso di questa piccola affermazione è clamoroso: con una sola parola il ministro ha smentito centinaia di corsi di aggiornamento, migliaia di pagine firmate da stimati pedagogisti, quintali di leggi e circolari (fino alla Buona Scuola) ed ha dichiarato candidamente che gli alunni con difficoltà “fanno perdere tempo”. Un tempo anche quantificato: un anno.
Sfuma inoltre nella nebbia il senso del richiamo a Berlinguer e quindi alla futura estensione a tutti delle superiori abbreviate: che valore predittivo può avere, infatti, un esperimento condotto con plotoncini di studenti bravissimi? Che ci può dire su ciò che accadrebbe quando le classi tornassero ad essere normalmente variegate?
E poi, se l’intento è quello di un’estensione a tutti in tempi brevi, perché chiedere alle scuole aspiranti un progetto particolare, cioè non soltanto inerente all’organizzazione e alla didattica ma comprendente anche, ad esempio, materie opzionali?
Allora forse non si pensa a un’innovazione per tutti ma alla creazione di un percorso per così dire elitario?
Se così fosse, si dovrebbe procedere a una riorganizzazione che escluda un alleggerimento del peso complessivo dei curricula. Invece si è chiamati ad alleggerire, usando nel solito modo distorto il concetto di competenza, come sempre contrapposto a conoscenza. Quindi per i più bravi si predisporrebbe un percorso in cui si studia meno? Strano. Ma c’è un altro aspetto, non meno grave.
Il numero di studenti che possono fruire della sperimentazione è contingentato, un massimo di cento classi sul territorio nazionale. La definizione dei criteri di selezione è lasciata alle scuole, che devono assicurarsi che i richiedenti siano motivati. Ebbene, poniamo che nell’anno del Signore 2018 i richiedenti idonei siano di più di quelli che ci stanno in cento classi , sparse uniformemente sul territorio nazionale ed equamente ripartite tra i vari indirizzi. E gli eccedenti, che confluiranno nelle classi normali (private di buona parte dei “motivati”) in nome di che cosa si vedranno infliggere quello che dal punto di vista dei sostenitori dell’esperimento è un anno perso, cioè in sostanza, una ripetenza, o una specie di leva militare?
Ma il discorso vale per tutti: come è possibile che lo Stato riconosca lo stesso valore, a tutti gli effetti, a un percorso più breve e più leggero degli altri? Potrebbe forse farlo — ma resterebbe una forzatura — solo se l’accesso fosse libero. In caso diverso, crea un gruppo di privilegiati e trasforma tutti gli altri in ripetenti, obbligandoli a un percorso più lungo nell’atto stesso in cui lo scredita.
Quanto alla possibilità che la sperimentazione faccia un po’ di pulizia nel gran bazar dei progetti, nessun segnale. Salvo quanto dichiarato dal ministro a proposito dell’alternanza, e cioè che i quadriennalisti la faranno d’estate. Che dire? Gli stage lavorativi estivi si facevano appunto prima che l’alternanza diventasse obbligatoria in tutti gli indirizzi. Ultimamente era parso di capire che non fossero sufficienti, che fosse per tutti necessaria l’integrazione stretta di queste attività con la didattica. Ora, dopo due anni di frenesia nelle scuole, dopo quintali di moduli predisposti e compilati, altre due parolette del ministro ci dicono che il re è nudo? Che i bravi possono tornare al lavoretto estivo, come ai tempi in cui Berta filava, liberando l’anno scolastico di questo spesso insensato aggravio? Che cos’è? Una soluzione discreta per non dover dire “Scusate, abbiamo sbagliato”?