Gennaio, tempo di mercato delle vacche. Con tutto il rispetto per questi nobili mammiferi e i loro legittimi proprietari, il riferimento è alle scuole e agli open day che, nel mese dedicato alle iscrizioni on-line alle classi prime di ogni ordine e grado (c’è tempo fino al 6 febbraio), impazzano lungo tutto lo Stivale. La moda, esplosa all’inizio del nuovo millennio, poco ha a che fare con una migliore possibilità di scelta offerta alle famiglie. La ragione è chiara: così come al mercato delle vacche non esiste allevatore che non decanti le virtù del proprio animale, allo stesso modo al mercato delle scuole non c’è dirigente o docente che non tessa le magnifiche sorti e progressive del proprio istituto. 



Ma se questo è comprensibile e persino doveroso in un regime di concorrenza tra scuole medie superiori, caratterizzate da un preciso indirizzo di studi, non si capisce quale valore possa avere alle elementari e alle medie inferiori (per non parlare degli asili) a meno di una discriminante di tipo etico o religioso che le distingua dal resto dell’offerta. Per decenni mamma e papà hanno iscritto i loro figli nell’istituto più vicino a scuola: ragioni di comodità e convenienza. Adesso che il vincolo dello stradario è decaduto (e meno male: ciascuno dev’essere libero nella scelta), la parola d’ordine consiste nel cercare di attirare il maggior numero possibile di “clienti” a scapito dei vicini, quasi si trattasse di “vendere” frutta e verdura o, per rimanere in tema, una vacca da latte invece che saperi.



E qui i conti non tornano. Non esiste istituto che, in occasione dei propri open day, non punti tutto sul potere attrattivo dei laboratori. Di informatica, di musica, di arte, di tecnologia, di lingua straniera, di scienze. E se questo è ovvio per una media superiore, dove l’indirizzo di studio è ciò che fa la differenza, non lo è per niente nel caso della scuola di base. Dove, come e più che alle superiori, a fare la differenza sono invece le persone, vale a dire gli insegnanti stessi. E’ lì che si annida il vero salto di qualità, lì che si misura il valore di una scuola, lì che vale davvero la pena scommettere.



Eppure, nel corso degli open day presso elementari e medie c’è la corsa da parte dei genitori ad informarsi sul funzionamento delle lim (le lavagne interattive multimediali senza le quali, così pare, è diventato impossibile insegnare), sul numero di postazioni a computer, sulle ore dedicate ai laboratori tecnico-scientifici. Nessuno spazio, nessuno richiesta, nessuna domanda per gli insegnanti di lettere, che agli open day sono relegati a fare la muffa. Dante e Leopardi, Pascoli e Pirandello, la storia della lingua o quella d’Italia sono gli autentici desaparecidos della scuola italiana del terzo millennio. Come se per crescere, per diventare persone a tutti gli effetti, i nostri adolescenti avessero più bisogno di un esperimento di chimica che di leggere la Divina Commedia. Nessuna contrapposizione fra discipline, sia chiaro, tutte autorevoli allo stesso modo e tutte necessarie per una crescita armonica e globale. Solo la constatazione, amara e sconsolata, che fin dalla più tenera età pare più importante insegnare a calcolare l’infinito invece che a sognarlo. E ciò, parafrasando Guareschi, non è né bello né istruttivo.